Tag Archivio per: contribuente

ATTENZIONE ALL’UFFICIO CHE HA EMESSO L’ATTO

 

 

Riferimenti:

art. 31 del D.P.R. n°600/1973;

art. 58, del D.P.R. n°600/1973;

Corte di Cassazione, sentenza n°2998/1987;

Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza n°149/46/2009

 

Una delle attenzioni che il professionista deve prestare nell’esame degli avvisi notificati dall’Agenzia delle Entrate al contribuente è quella relativa alla competenza territoriale dell’ufficio che ha emesso l’atto.

Difatti l’art. 31 del D.P.R. n°600/1973, dopo aver disposto al primo comma che “Gli Uffici delle imposte controllano le dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta, ne rilevano l’ eventuale omissione e provvedono alla liquidazione delle imposte o maggiori imposte dovute … provvedono all’ irrogazione delle pene pecuniarie …”, al secondo comma, precisa che “La competenza spetta all’Ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”.

Con riferimento, poi, al concetto di “domicilio fiscale”, il successivo art.58, secondo comma, del D.P.R. n°600/1973, chiarisce che le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato “hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”.

Dal suindicato quadro normativo risulta evidente che se l’atto viene notificato da un ufficio territorialmente incompetente il giudice ne dovrà dichiarare l’illegittimità. Si ritiene che solo la Direzione Provinciale e il competente ufficio territoriale di domicilio fiscale del contribuente abbia una maggiore conoscenza, rispetto agli altri uffici, della situazione economica, finanziaria e patrimoniale del contribuente ed è, quindi, nelle migliori condizioni per la raccolta di informazioni in modo da giungere a un’imposizione maggiormente aderente all’effettiva capacità contributiva del soggetto.

Sul punto, appare inequivoco il pensiero espresso dalla Corte di Cassazione in materia d’incompetenza territoriale degli uffici finanziari. Difatti, con la sentenza n° 2998/1987, si è affermato che “E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. 1983, n. 2301; 1980, n. 4277; 1977, n. 4462) che il difetto di competenza territoriale dell’Ufficio tributario che ha proceduto all’accertamento tributario comporta l’assoluta carenza di potere dell’organo amministrativo e, quindi, un vizio sostanziale e radicale dell’atto di accertamento dal quale discende la nullità assoluta di tali atti rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per oggetto tali atti e, quindi, anche innanzi al giudice delle Commissioni tributarie ovvero innanzi alla giurisdizione ordinaria adita dopo la pronuncia di tali organi (Cass. 1980, n. 4277 ed altre)”.

Sulla scia di tale consolidato orientamento da parte del giudice di legittimità, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con una recente pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità di un’iscrizione a ruolo poiché disposta da un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate (Ufficio di Milano 3), territorialmente incompetente. Difatti, la Commissione Tributaria rilevava che il contribuente era domiciliato fiscalmente nella circoscrizione territoriale dell’Ufficio di Milano 6 e, pertanto, solo quest’ultimo ufficio avrebbe potuto e dovuto eventualmente accertare e sanzionare il contribuente (Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza n°149/46/2009).

 Articoli correlati: Obbligo di comunicazione ex art. 36 bis d.p.r. 600/1973La comunicazione d’irregolaritàAgenzia delle Entrate (risoluzione n° 14/e del 24/1/2014)Il fisco non la beve!Circolare 11/e dell’Agenzia delle EntrateTassazione dei canoni non riscossiDelega di firma degli atti tributariAtti firmati dai c.d. falsi dirigentiAvviso di rettifica classe e rendita catastale con procedura DOCFASottoscrizione del ruolo: la mancanza determina l’illegittità del provvedimentoNotifica degli atti solo tramite Poste ItalianeOk della Cassazione all’opposizione di ruolo

AGGIO DI RISCOSSIONE: IPOTESI D’ILLEGITTIMITA’

cash

Riferimenti:

– Art.17, comma 1, del D.lgs. n°112/1999

– Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza n°4682/24/2015.

 

Occorre inizialmente precisare, come riferito dagli stessi Giudici milanesi, che l’aggio di riscossione altro non è che una misura finanziaria che va ad aggiungersi al totale delle somme che il contribuente è tenuto a pagare, in caso di somme dovute all’Erario, al fine di compensare il rischio di insolvenza da parte del contribuente stesso.

Ai sensi dell’articolo 17, comma 1, del D.lgs. n°112/1999, l’attività dei concessionari, ossia gli agenti della riscossione, dev’essere remunerata con un aggio. Esso ha natura tributaria, poiché per il contribuente che è tenuto a pagarlo, integra il tributo iscritto a ruolo.

Va subito chiarito che il rischio d’insolvenza da parte del contribuente si può ravvisare solo se vi siano delle condotte poste in essere da quest’ultimo prima dell’iscrizione a ruolo, come nel caso di un avviso di accertamento emesso dalla P.A. e non opposto che ha costretto l’Amministrazione finanziaria a rimettere la questione ad Equitalia per la riscossione di quanto inevaso ma non, certamente, nei casi di iscrizione nel ruolo provvisorio in pendenza di un ricorso presentato dal contribuente/ricorrente.

Difatti, secondo la recentissima sentenza n°4682/24/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano “per molti tributi, quali quelli versati a titolo provvisorio in pendenza di ricorso, tale rischio non è palesemente ravvisabile, poiché l’iscrizione nei ruoli esattoriali non rappresenta, come nel caso precedente, una misura eccezionale e coercitiva volta all’assunzione della somma dovuta, bensì una mera prassi di riscossione ordinaria. In questi casi, non palesandosi il “rischio”, non si giustifica il versamento dell’aggio, che, al contrario, si evidenzia come una ingiustificata sanzione accessoria”.

In sostanza l’aggio non è dovuto per la riscossione parziale posta in essere da Equitalia in pendenza di un ricorso innanzi all’autorità giurisdizionale.

Avv. Alessandro Sgrò

Ti può interessare anche: Pignoramento dello stipendio da parte di EquitaliaTassazione dei canoni non riscossiPignoramento Equitalia: ipotesi di illegittimitàPrescrizione dei tributi erarialiNullità ipoteca iscritta da Equitalia

LE SANZIONI NON SEMPRE SONO DOVUTE!

 

 

Riferimenti:

Art. 5 del D.Lgs. n°472/1997;

Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, sent. n°179/1/2013;

Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sent. n°258/29/2012.

 

In un periodo di forte contrazione economica, come quello che stiamo vivendo, succede che le piccole e medie imprese non riescano con tempestività a versare al fisco le somme a quest’ultimo dovute. Ciò, ovviamente, non impedisce all’Amministrazione Finanziaria di procedere in via esecutiva per il recupero di delle somme inevase.

Se quanto sopra è vero è altrettanto certo quello che da sempre lo scrivente studio sostiene anche in sede giudiziaria, e precisamente che qualora  l’omesso pagamento del tributo è stato provocato da ripetuti ritardati pagamenti delle somme dovute al contribuente da soggetti pubblici e/o privati, quest’ultimo non può rispondere anche delle sanzioni amministrative irrogate per l’omesso o ritardato pagamento poiché esulerebbe l’elemento soggettivo della colpa ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 472/1997.

Difatti, la norma in esame stabilisce che “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. In sostanza, detta norma  richiede non solo che il soggetto abbia agito con coscienza e volontà ma anche che egli sia colpevole, ovvero che gli si possa rimproverare un comportamento quantomeno negligente.

E’ palese che l’assenza di colpa, ovvero di avere fatto uso dell’ordinaria diligenza per rimuovere l’ostacolo frapposto all’esatto adempimento delle obbligazioni,  dev’essere rigorosamente provata in giudizio al fine di evitare il versamento delle somme richieste a titolo di sanzione amministrativa.

Sul punto, appare interessante una recentissima pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso (sentenza n°179/1/2013) che a seguito di ricorso proposto dal contribuente ha dichiarato la parziale nullità di una cartella di pagamento con riferimento alle sole sanzioni amministrative.

 Nel caso sottoposto all’attenzione della Commissione Tributaria molisana, il contribuente aveva dimostrato in giudizio che il Comune di Campobasso, per il quale svolgeva prevalentemente in appalto la sua attività, aveva effettuato con ritardo notevolissimo (anche di otto mesi) i pagamenti dovuti al ricorrente per centinaia di migliaia di Euro, tanto da costringere la società allo sconto delle fatture presso le banche con notevoli perdite economiche. Ha, altresì, provato documentalmente che anche per la restante attività svolta in regime di subappalto per imprese private doveva ancora percepire importi rilevanti.

La Commissione giudicante, valutata la copiosa documentazione depositata dal ricorrente, constatava che quest’ultimo “ in più occasioni ebbe a sollecitare i pagamenti che le erano dovuti, si premurò di scontare le fatture in banca con evidenti notevoli perdite economiche, dovette richiedere un mutuo alla banca, dovette contrarre debiti verso i fornitori ed i propri dipendenti per somme ingenti e richiedere dilazioni di pagamento alla stessa A.F. per le annualità precedenti. E’ di tutta evidenza, a questo punto che la ricorrente ha ampiamente fornito la prova di avere usato tutta la ordinaria diligenza possibile per rimuovere l’ostacolo frapposto all’esatto adempimento della obbligazione tributaria, anche mediante reperimento di altre fonti finanziarie, sì che deve necessariamente escludersi che nel suo comportamento sia ravvisabile la colpa. Deve pertanto essere annullata la opposta cartella limitatamente alle sanzioni ed agli interessi”.

Sul punto, si segnala anche la sentenza n°258/29/2012 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che precisa “quando l’inosservanza della norma è necessariamente ed inevitabilmente cagionata da una forza esterna al soggetto obbligato, non sussiste il presupposto per la nascita dell’obbligazione delle soprattasse; ed è stato inoltre, sostenuto che, poiché anche la materia Fiscale si fonda su principi di correttezza ed equità, non può mai trovare giustificazione logica prima che giuridica, la punizione indiscriminata dell’incolpevole contribuente che versi, e lo provi, in stato di coatta incapacità economica”.

Avv. Alessandro Sgrò

 Articoli correlati: Utili pro quota ai sociObbligo di comunicazione ex art. 36 bis d.p.r. 600/1973L’avviso IRPEF deve contenere l’esatta aliquota applicataCartella di pagamento ai soci di una S.r.l.Prescrizione dei tributi erarialiNotifica degli atti tributari alle societàNullità ipoteca iscritta da EquitaliaSottoscrizione del ruolo: la mancanza determina l’illegittità del provvedimentoOk della Cassazione all’opposizione di ruolo

LA COMUNICAZIONE D’IRREGOLARITA’

La comunicazione d’irregolarità

(art. 36 bis D.P.R. n° 600/1973 e art. 54 D.P.R. n° 633/1972)

 

Le dichiarazioni presentate dai contribuenti sono di regola sottoposte a un primo controllo automatico da parte dell’Agenzia delle Entrate volto a verificare la correttezza formale e la tempestività dei versamenti. Cosa accade e come ci dobbiamo comportare se a seguito di detto controllo riceviamo una comunicazione di irregolarità o addirittura una cartella di pagamento? Scopriamolo insieme in questa breve disamina della materia.

Continua a leggere