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RIMBORSO IRAP

 

In alcuni articoli, che è possibile consultare sul nostro SITO, abbiamo dato conto sul recente orientamento dei giudici di merito e di legittimità in materia di IRAP per i professionisti. Con il presente contributo, invece, ci soffermeremo brevemente sull’istanza di rimborso che è possibile presentare, presso i competenti Uffici dell’Amministrazione Finanziaria, qualora si ritenesse di aver diritto alla restituzione delle somme  ingiustamente versate.

L’istanza di rimborso dev’essere inoltrata presso la competente Agenzia delle Entrate entro 48 mesi dal versamento effettuato. Sul dies a quo la Corte di Cassazione ha precisato che il termine decorre dalla data di versamento del saldo (in caso di eccedenza di versamenti in acconto rispetto a quanto dovuto a saldo), oppure dalla data di versamento dell’acconto (Cass. sent. n°21528/2009).

L’istanza può essere presentata a mano o mediante lettera raccomandata a.r. e deve contenere oltre ai dati del contribuente le motivazioni per le quali si chiede il rimborso versato.

L’agenzia avrà tempo 90 giorni decorrenti dalla ricezione dell’istanza per rispondere, altrimenti, in mancanza di risposta l’istanza dovrà considerarsi rigettata. A questo punto il contribuente, qualora ritenesse comunque valide le proprie ragioni, potrà ricorrere in Commissione Tributaria previo esperimento, a pena di improcedibilità, della procedura di reclamo/mediazione se il presunto credito vantato risulti inferiore a € 20.000,00.

Si rammenta che in sede contenziosa il contribuente potrà chiedere, in virtù del principio di concentrazione della tutela, non solo il rimborso delle somme indebitamente versate ma anche gli accessori come gli interessi e il maggior danno da svalutazione monetaria purché ne fornisca la prova ex art. 1224 c.c. (Cass. – Ordinanza n°28332 del 18/12/2013).

La prova consiste nel dimostrare che un pagamento tempestivo da parte dell’Amministrazione Finanziaria gli avrebbe consentito, mediante un saggio impiego della somma, di evitare o limitare gli effetti dell’inflazione.

Per la gestione di una pratica di rimborso invia una mail a: info@studiolegalesgro.net.

o contatta lo studio al numero: 06.68891896.

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IRAP PER PROFESSIONISTI

Commissione Tributaria di Frosinone sentenza n°50/3/2014 

Con la sentenza in commento, si pone la questione della legittimità del versamento IRAP da parte del professionista che esercita la propria attività con esclusivo apporto di lavoro proprio.

Il caso, tratto dalla recentissima pronuncia della Commissione Tributaria di Frosinone, trae origine da un ricorso proposto da un medico di base contro l’Agenzia delle Entrate avverso il silenzio diniego formatosi sull’istanza di rimborso presentata dal professionista per l’imposta IRAP, pagata negli anni 2006/2009. Il ricorrente precisava, in sede giudiziaria, che alla luce delle disposizioni normative non sussistevano, nel caso di specie, i presupposti per l’applicazione dell’IRAP poiché esercitava la propria attività in forma non organizzata in quanto non utilizzava personale medico dipendente e/o collaboratore coordinato e utilizzava i beni strumentali minimi richiesti dalla convenzione con il S.S.N..

Orbene la Commissione Tributaria di Frosinone, con la sentenza n°50/3/2014, ha accolto le doglianze del professionista, riconoscendo il diritto al rimborso dell’imposta, ingiustamente versata, precisando che l’IRAP deve essere applicata “nei casi in cui il lavoro autonomo professionale, quale esso sia, si avvalga di una significativa o non trascurabile organizzazione di mezzi od uomini in grado di ampliare i risultati profittevoli atteggiandosi come contesto potenzialmente autonomo rispetto all’apporto personale rivolto ad un ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo. L’imposizione IRAP è legittimata solo al cospetto di una struttura organizzativa esterna del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili. La ricchezza prodotta dall’impiego coordinato delle proprie facoltà mentali, attitudini e spirito di iniziativa costituisce profitto esclusivamente derivante dalla capacità del professionista che come tale non può essere assoggettata ad IRAP mentre è, invece, il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa, che coadiuva ed integra il professionista nelle incombenze ordinarie, ad essere interessata all’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale”.

Inoltre, aggiunge la Commissione giudicante, “Il fatto che il medico di base, ma qualunque libero professionista, utilizzi un segretario di studio non accresce la capacità produttiva del professionista. Vi sono, del resto, precedenti specifici secondo cui la presenza dì un solo dipendente part-time addetto alla porta ed alla pulizia dello studio non costituisce di per sé un elemento tale da concretizzare il presupposto di autonoma organizzazione come previsto dalla normativa I.R.A.P.” (ordinanza n. 18472 del 4 luglio 2008); cui si può affiancare, tra l’altro, l’ordinanza n, 14304 del 8 agosto 2012 secondo cui “deve essere confermata la sentenza di merito che ha escluso la applicabilità dell’IRAP ad un ragioniere che usufruisca di un dipendente part-time per poche ore (10) alla settimana” (adde da ultimo l’ordinanza n. 14304 del 8 agosto 2012 ed in tal senso Corte di Cassazione Sent. 25 settembre 2013, n. 22020).

Dunque, dalla condivisibile pronuncia della CTP di Frosinone, richiamandoci al consolidato orientamento della Corte di Cassazione in materia, possiamo certamente affermare che l’IRAP coinvolge una capacità produttiva che può non derivare da una struttura autosufficiente ma deve essere sempre impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista.

In sostanza “ non occorre che sussista una struttura di importanza prevalente rispetto al lavoro del titolare o addirittura tale da generare profitti anche senza lo stesso, ma è sufficiente che si realizzi un insieme di fattori che sia tale da porre il professionista in una condizione più favorevole rispetto a quella che si sarebbe attuata in mancanza” (Corte di Cassazione Sentenza n°22020/2013).

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NOTIFICA DEGLI ATTI SOLO TRAMITE POSTE ITALIANE

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Riferimenti:

Commissione Tributaria Regionale di Roma, sentenza n° 7408/6/2014.

Interessante è il recentissimo pronunciamento da parte della Commissione Tributaria Regionale di Roma che con la sentenza n°7408/6/2014, che ha annullato una cartella di pagamento notificata da parte di Equitalia sull’assunto che il precedente avviso di accertamento, emesso dall’Agenzia delle Entrate, doveva considerarsi come non notificato poiché quest’ultima aveva inviato il provvedimento impositivo con raccomandata tramite Agenzia Privata, anziché da Poste Italiane S.p.a..

Attenzione però alla strategia difensiva! Nel caso discusso innanzi alla Commissione Regionale del Lazio, il contribuente, si era opposto a una cartella di pagamento, recante tributi IRPEF e IVA, notificatagli da Equitalia, eccependo in via preliminare la mancata notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. Nel corso del giudizio l’Ufficio Finanziario, a dimostrazione della bontà del proprio operato, depositava un avviso di ricevimento da cui risultava che l’avviso di accertamento era stato notificato tramite un’Agenzia Privata e non tramite le Poste Italiane.

Pertanto, la Commissione Tributaria Regionale in riforma della sentenza emessa dai Giudici di prime cure ribadiva un fondamentale principio: “in tema di notificazione degli avvisi di accertamento, quando il legislatore prescrive, per l’esecuzione di una notificazione il ricorso alla raccomandata con avviso di ricevimento, non può che fare riferimento al cosiddetto servizio postale universale fornito dall’Ente Poste su tutto il territorio nazionale, con la conseguenza che, qualora tale adempimento sia affidato ad un’agenzia privata di recapito, esso non è conforme alla formalità prescritta dall’art. 140 cod. proc. civ., e, pertanto, non è idoneo al perfezionamento del procedimento notificatorio (cass. nn. 11095/2008, 20440 / 2006, 1233/2003). Tanto nel presupposto, affermato dall’appellante, non contestato in questa sede e desumibile dagli atti, che il procedimento notificatorio di che trattasi, e segnatamente l’invio della raccomandata con avviso di ricevimento, non sia stato curato dall’Ente Poste, bensì da Agenzia Privata. Si ritiene, dunque, sussistano i presupposti per l’accoglimento, per manifesta fondatezza, dell’appello”.

Avv. Alessandro Sgrò

 

 

 

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CARTELLA DI PAGAMENTO A SEGUITO DI COMUNICAZIONE DI IRREGOLARITA’

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Possibili difese

 

Riferimenti:

art. 36 bis del D.P.R. n°600/1973;

art. 54 bis del D.P.R. n°633/1972;

Cass. Civ. sentenza n° 5318/2012;

Comm. Trib. Reg. del Lazio sentenza n°545/14/2012.

Cass. Civ. ord. n° 8934/2014;

 

Capita con una certa frequenza di ricevere delle cartelle di pagamento che traggono origine dalle comunicazioni di cui all’art. 36 bis, in materia di imposte dirette, e art. 54 bis, per l’imposta sul valore aggiunto. Difronte a un’iscrizione a ruolo del genere la difesa del contribuente, in sede giudiziaria, risulta molto complessa in quanto dedurre semplicemente la mancata notifica della comunicazione, secondo la giurisprudenza di legittimità e di merito, non è causa di nullità o annullabilità della successiva cartella di pagamento, salvo quanto dirò in seguito circa il difetto di motivazione.

E’ bene però fare alcune precisazioni, poiché è frequente il caso in cui l’Agenzia delle Entrate disconosce illegittimamente mediante la mera procedura di liquidazione automatica eccedenze e crediti magari originati in periodi d’imposta precedenti.

Sul punto, secondo un ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, l’attività di liquidazione e controllo automatizzato è consentita solo ove l’errore del contribuente sia rilevabile dal semplice controllo cartolare della dichiarazione. Difatti ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. n°600/1973 e dell’art. 54 bis del D.P.R. n°633/1972, l’ufficio può correggere solo errori materiali o di calcolo, verificare la correttezza e tempestività dei versamenti ma non può certamente spingersi a effettuare valutazioni giuridiche sulla base della dichiarazione presentata.

Un’eventuale indagine sulla veridicità e correttezza legale della dichiarazione deve essere effettuata tramite la notifica di un avviso di accertamento e non mediante un controllo automatizzato.

In sostanza con la sentenza n° 5318/2012 gli Ermellini hanno dichiarato nulla la cartella di pagamento notificata al contribuente a seguito del controllo automatizzato poiché a parere dei giudici di legittimità “la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, è ammissibile, e può evitare l’attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo. Con tali modalità non possono, invece, risolversi questioni giuridiche o esaminarsi atti diversi dalla dichiarazione stessa (senza previamente contestare al contribuente il relativo accertamento con il prescritto avviso). Nella specie, la negazione della detrazione nell’anno in verifica di un credito dell’anno precedente, per il quale la dichiarazione era stata omessa, non può essere ricondotta al mero controllo cartolare, in quanto implica verifiche e valutazioni giuridiche, dovendo ritenersi che il disconoscimento dei crediti e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta dovevano, pertanto, avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica”.

Dello stesso condivisibile avviso e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio che con sentenza n°545/14/2012, ha disposto che “il disconoscimento di un credito d’imposta (nella specie, il credito d’imposta sugli incrementi occupazionali nelle aree svantaggiate) non può avvenire con un mero atto di iscrizione a ruolo ed è nulla la cartella di pagamento emessa senza preventiva notifica di un atto di accertamento. Inoltre, non è possibile utilizzare la procedura ex art. 36-bis D.P.R. n. 600 del 1973 per rettificare l’ammontare del predetto credito d’imposta in quanto tale norma è utilizzabile solo nei casi tassativamente indicati dalla legge e, quindi, non di fronte a disposizioni di legge suscettibili di interpretazioni diverse, le quali esigono un motivato avviso di accertamento”

Altra ipotesi di difesa:

Ho accennato precedentemente che la mancata notifica al contribuente o al professionista abilitato della comunicazione di irregolarità di cui all’art. 36 bis e 54 bis, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non può essere causa di nullità o annullamento della successiva cartella di pagamento. Tuttavia, il contribuente che ritiene di non aver ricevuto detta comunicazione potrà, qualora ne sussistano i presupposti, eccepire la nullità della cartella di pagamento per insufficiente e/o omessa motivazione dell’atto notificato.

Al riguardo è utile richiamare la recentissima ordinanza n°8934/2014 della Corte di Cassazione che ha ribadito un principio fondamentale in materia, e precisamente: “La cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, e recepiti, per la materia tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7. (Affermazione relativa ad una cartella esattoriale, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, nella quale l’Ufficio non si era limitato ad una mera correzione di errori materiali o di calcolo, ma aveva operato il conteggio delle somme da versare, non riconoscendo un credito di imposta”.

Pertanto, quando la cartella di pagamento costituisce il primo atto in cui si estrinseca la pretesa erariale non è sufficiente che l’Agente per la riscossione si limiti a indicare il dettaglio dell’addebito poichè è necessario che la cartella indichi i motivi della pretesa in modo congruo, sufficiente e intellegibile. Nel caso in cui l’Equitalia si limiti ad indicare la ragione dell’iscrizione a ruolo semplicemente nel “recupero del credito di imposta ex L. n. 289 del 2002, art. 62” la cartella deve essere dichiarata nulla poiché trattasi si un’affermazione “anonima” delle ragioni per le quali l’Amministrazione suppone di vantare un credito, giacché quest’ultimo può emergere sia dalla erronea contabilizzazione di crediti effettivamente spettanti sia dall’esclusione dei presupposti per il riconoscimento della spettanza.

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OBBLIGO DI COMUNICAZIONE EX ART. 36 BIS D.P.R. 600/1973

Comm. Trib. Provinciale di Roma – sentenza n° 247/32/2013

L’iscrizione a ruolo delle imposte dichiarate dal contribuente ma non versate è automatica e diretta e non richiede una previa comunicazione al contribuente. Difatti, l’art. 36 bis del D.P.R. 600/1973 stabilisce che la comunicazione deve pervenire al contribuente, a séguito dei controlli automatizzati, quando “emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero emerge un’imposta o una maggiore imposta”. I casi indicati si riferiscono all’espletamento da parte dell’Ufficio di una attività di accertamento sia pure peculiare, mediante il controllo della dichiarazione con utilizzo di procedure informatiche. Invece, nel caso di cui al 2 comma lett. f) dell’art. 36 bis, in cui é previsto un mero controllo della tempestività e rispondenza con la dichiarazione dei versamenti effettuati delle imposte, é configurabile solo una funzione esattiva per la quale non appare esigibile alcuna comunicazione precedente l’automatica iscrizione a ruolo delle somme dichiarate ma non versate.

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UTILI PRO QUOTA AI SOCI

Comm. Trib Regionale di Roma – sentenza n°309/29/2013

 

Nel caso di società a ristretta base societaria, in sede di accertamento di utili non contabilizzati, relativamente alle imposte sui redditi, si ritiene applicabile la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, salva la prova contraria, come da prassi consolidata, sulla quale concorda anche la Suprema Corte di Cassazione. Tutto ciò corrisponde ad uno schema logico-giuridico, corrispondente all’art.38 comma 3 del D.P.R. n. 600 del 1973, che fa presumere ragionevolmente che, ove non venga dimostrato che gli utili sono rimasti nel patrimonio della società , essi siano affluiti nella disponibilità dei singoli soci.

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SOTTOSCRIZIONE DEL RUOLO: LA MANCANZA DETERMINA L’ILLEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO

Riferimenti:

– art. 12, comma 4, del D.P.R. n°602 del 1973;

Commissione Tributaria Regionale Aquila- Sez. dist. di Pescara, sentenza n° 1296/6/2014;

– Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, sentenza n° 784/3/2015;

– Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, sentenza n°654/2/2015

 

Un aspetto di estrema importanza, ampiamente dibattuto tra gli operatori del settore, riguarda la sottoscrizione del ruolo emesso da parte dell’Ente impositore.

Capita spesso, infatti, di ricevere degli atti da Equitalia S.p.a., come ad esempio una cartella di pagamento, un’intimazione, un fermo amministrativo o un’ipoteca, senza tuttavia avere alcuna certezza in merito al fatto che le somme richieste dall’Ente impositore siano state effettivamente iscritte a ruolo nel rispetto della normativa vigente in materia, in particolare per quanto concerne la sottoscrizione del ruolo stesso.

L’art. 12, comma 4, del D.P.R. n°602 del 1973 prescrive che ” il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica dal titolare dell’Ufficio o da un suo delegato. Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”. Da ciò ne consegue che il contribuente, in sede di opposizione ad atto notificato dall’Agente per la Riscossione, potrebbe ben eccepire in sede giudiziale la corretta sottoscrizione del ruolo e lasciare che sia poi l’Equitalia S.p.a. a fornire la prova che sia stato sottoscritto dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato; in mancanza di ciò il Giudice tributario dovrebbe dichiarare l’illegittimità del provvedimento impugnato.

E’ evidente, inoltre, che il contribuente potrà tirare in ballo, qualora l’ente impositore è l’Agenzia delle Entrate, anche gli effetti della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale poiché, in questo caso, non sarebbe sufficiente la sottoscrizione del ruolo da parte del titolare dell’Ufficio ma quest’ultimo dovrà essere in possesso di un legittimo incarico di dirigenza.

Entrambe le questione sono state oggetto di alcune recentissime pronunce da parte della Commissioni di merito che ritengo opportuno citare.

Il primo interessante pronunciamento è quello della Commissione Tributaria Regionale Aquila – Sez. distaccata di Pescara – che con la sentenza n° 1296/6/2014 ha disposto “l’assenza di dimostrazione della corretta sottoscrizione del ruolo e, quindi della relativa esecutorietà non può che comportare la nullità della cartella impugnata se si considera che un recentissimo arresto della Suprema Corte ha cassato la decisione del Giudice di merito in un caso del tutto analogo a quello di specie, dove era stata affermata la regolarità formale del difetto di sottoscrizione sulla base del fatto notorio, statuendo che “Alla stregua di tali principi non rientra nella categoria del fatto notorio la sottoscrizione degli atti impositivi (nella specie di ruolo e la cartella esattoriale relativi ad IVA ed IRPEF), qualora il contribuente eccepisca il difetto di rappresentanza sostanziale, non essendo sufficiente ai fini predetti, la verifica di tali requisiti degli atti, da parte del giudice decidente, in sede di esame di altro ricorso” (Cass. Civ. sez. VI – V ordinanza n. 2808 del 6.2.2013). La necessità della sottoscrizione del ruolo, quantomeno telematico è stata ribadita anche CTR della Campania con sentenza n. 412 del 25.1.2011 nella parte in cui ha affermato: “Particolare rilevanza assume la sottoscrizione del ruolo da parte del titolare dell’Ufficio o di un delegato in quanto l’art. 12, IV comma del D.P.R. n. 602/73 stabilisce che con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo (…) a riguardo si rileva che la giurisprudenza in più occasioni si è espressa circa l’obbligo a pena di decadenza, della sottoscrizione del ruolo, ed in particolare si citano le sentenze nn. 7093/2003 e 7439/2003 della Sezione V della Corte di Cassazione”.

Recentissimo, poi, è il pronunciamento della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, sentenza n° 784/3/2015 che ha ritenuto che tutti gli atti delle Agenzie fiscali aventi rilevanza esterna, e quindi non solo gli avvisi di accertamento, devono essere adottati e firmati dal direttore dell’Agenzia che, in quanto preposto a ufficio di livello dirigenziale, deve essere un dirigente. Se, dunque, in giudizio non è stata fornita la prova che chi ha sottoscritto il ruolo era un legittimo funzionario dell’Agenzia delle Entrate anche la successiva cartella esattoriale deve essere dichiarata illegittima.

Dello stesso avviso è la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone che con la sentenza n°654/2/2015 ha dichiarato l’illegittima di una cartella di pagamento notificata al contribuente poiché “Nel caso in esame la onerata Equitalia Sud S.p.A. non ha fornito nel processo le relative cartelle dalle quali si potesse evincere chi ha reso esecutivo e in quale data è stato reso esecutivo il ruolo. La cartella, infatti, non è altro che l’atto con cui l’agente della riscossione notifica al debitore il ruolo, formato dall’ente creditore, di modo che un eventuale vizio del ruolo risulta invalidante per la cartella stessa e per tutti gli atti conseguenziali”.

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OK DELLA CASSAZIONE ALL’OPPOSIZIONE DEL RUOLO

cassazione

Riferimenti:

– Corte di Cassazione, Sezione Unite, sentenza n°19704/2015;

– differenza tra ruolo ed estratto di ruolo;

– termini per proporre opposizione all’iscrizione a ruolo.

 

Spesso mi capita di assistere dei contribuenti che sono venuti a conoscenza di un iscrizione a ruolo nei propri confronti tramite una verifica presso gli sportelli di Equitalia, portandomi l’estratto di ruolo rilasciato dall’Ufficio.

La domanda è, per lo più, la medesima: “si può fare qualcosa, visto che non ho mai ricevuto la cartella di pagamento?”

A questa domanda fino a oggi la risposta risultava incerta poiché molte Commissioni Tributarie dichiaravano, finanche, inammissibile il ricorso proposto dal contribuente avverso il ruolo di cui quest’ultimo era venuto a conoscenza tramite l’estratto rilasciato da Equitalia.

Da oggi però, la risposta sarà ben diversa, poiché la Corte di Cassazione a Sezione Unite con la sentenza n°19704/2015, ha finalmente riconosciuto la possibilità al contribuente di proporre opposizione avverso detta iscrizione a ruolo quando il contribuente lamenti in giudizio la mancata notifica della cartella di pagamento.

In questi casi consiglio vivamente di farsi rilasciare da Equitalia non solo l’estratto di ruolo, ove è indicata la presunta pretesa impositiva e il numero d’iscrizione a ruolo delle somme inevase, ma anche la relazione di notificazione dell’atto (cartella di pagamento) che l’Agente della riscossione sostiene di aver regolarmente notificato al contribuente. Solo da un attento esame di detta relazione di notifica si potrà valutare la possibilità di ricorrere in sede giudiziaria!

Ad ogni modo, gli Ermellini, preliminarmente, hanno voluto fare un’importante precisazione circa la differenza che intercorre tecnicamente tra ruolo ed estratto di ruolo, quest’ultimo rilasciato dagli Uffici di Equitalia; precisazione che è bene tenere a mente al fine di non incorrere in errori in sede giudiziaria.

  1. a) Il ruolo è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario e pertanto nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi. Il ruolo è un atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è pertanto un atto impugnabile;
  2. b) l’estratto di ruolo, invece, non è un atto impugnabile poiché è solo un elaborato informatico dell’esattore sostanzialmente contenente gli elementi della cartella, quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella (il C.d.S., peraltro, ha affermato l’inidoneità del suo rilascio ad ottemperare all’obbligo di ostensione all’interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta, della copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici). Trattasi di atto interno dell’Agente della Riscossione.

In definitiva, secondo la Corte di Cassazione con la sentenza in esame, sebbene sia escluso al contribuente potersi opporre “all’estratto di ruolo”, egli può, al contrario, impugnare il “contenuto” del documento stesso, ossia gli atti che nell’estratto di ruolo sono indicati e riportati.

Termini per impugnare: gli Ermellini riconoscendo la possibilità di impugnare il ruolo (si badi bene, la Cassazione parla di “ruolo” e non dell’estratto di ruolo) solo quando si lamenti la mancata notifica dell’atto precedente, stabiliscono inoltre che il termine per proporre ricorso decorre dalla conoscenza dell’iscrizione a ruolo che concretamente avviene con la presa visione dell’estratto di ruolo che è rilasciato dai preposti uffici di Equitalia S.p.a..

Si consigliano prudenza e un attento esame della documentazione, quale l’estratto di ruolo e la relazione della notifica della cartella di pagamento che si ritiene non sia stata notificata!

Avv. Alessandro Sgrò

 

Scarica la sentenza (Cass. Sez. Unite n°19704 del 2015)

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ACCERTAMENTI ALBERGHI E RISTORANTI

Negli ultimi anni si è assistito a un notevole incremento di accertamenti posti in essere dall’Agenzia delle Entrate, volti a ricostruire i ricavi delle attività alberghiere e di ristorazione in base al consumo di acqua minerale, all’utilizzo di tovaglioli o di lenzuola da parte dei clienti. Detto tipo di accertamento tecnicamente viene definito analitico-induttivo e sostanzialmente consiste nel contestare al contribuente dei maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, non solo sulla base di prove dirette (fatture e altri documenti), ma anche, e spesso, sulla base di presunzioni qualificate, ovvero gravi, precise e concordanti.

Orbene, il fondamento normativo da cui trae origine detta attività di accertamento è da individuarsi nell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973, che dispone: “l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.

Dunque, se l’attività presuntiva dell’Amministrazione Finanziaria è normativamente prevista dobbiamo tuttavia sincerarci, mediante una breve analisi della giurisprudenza di merito e di legittimità, entro quali limiti è ammesso l’utilizzo, nei casi sopra individuati, dell’accertamento analitico-induttivo.

In materia di ristorazione spesso si prende a riferimento il numero dei tovaglioli lavati ricavando da questi il numero dei pasti realmente consumati dai clienti. Pertanto, se da una verifica risultasse che il numero dei tovaglioli fosse notevolmente maggiore dei pasti consumati dagli avventori, l’Agenzia potrebbe procedere alla contestazione dei presunti maggiori ricavi e recta via alla rideterminazione del reddito d’impresa

E’ bene precisare che detta ricostruzione induttiva dei ricavi deve tenere conto anche di ulteriori utilizzi, come ad esempio i tovaglioli impiegati in cucina, quelli utilizzati dai camerieri e quelli riservati in genere all’autoconsumo. Difatti, una recente pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sentenza n°58/5/2013, ha ritenuto illegittima l’attività accertatrice dell’Ufficio sull’assunto che quest’ultimo“ha considerato 21.200 tovaglioli per i coperti con un abbattimento del 25%. senza considerare il notevole uso dei tovaglioli in cucina come strofinacci e in sala per portare il vino, per coprire i cestini del pane, per i tavoli a buffet, per i tavoli per gli aperitivi, per i tavoli del coffee break, ecc. e per i pasti somministrati ai dipendenti e collaboratori e per l’autoconsumo” e inoltre “non ha considerato la capienza dei locali, i giorni di apertura e i turni di servizio”.

Cosa dire invece dell’accertamento basato sul numero di bottiglie d’acqua consumate dai clienti?

In questo caso la Corte di Cassazione con sentenza n°17408/2010, ha dichiarato la legittimità dell’operato dell’Ufficio poichè la quantità di acqua minerale consumata nell’attività di ristorazione era notevolmente eccedente da quella che può essere consumata dai singoli avventori secondo il numero dei pasti dichiarati dal titolare del ristorante. Ciò nonostante, la Corte ha voluto comunque precisare che “la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’art. 53 Cost., non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorchè i dati forniti dal contribuente risultino inattendibili).”

Diversa e più complessa è la questione dell’accertamento c.d. lenzuolometrico, cioè basato sul numero di lenzuola lavate dalla struttura ricettiva.

Con la sentenza n°12/12/2013, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, ha dichiarato l’illegittimità dell’accertamento basato sul numero di lavaggi delle lenzuola poiché “l’accertamento doveva tener in maggior conto quanto rilevabile dalle fatture attive e dalle ricevute fiscali, dalle quali risultava l’utilizzo di camere matrimoniali anche da parte di persone singole, che i bambini al seguito dei genitori non pagavano la tariffa piena e che nel periodo invernale le tariffe applicate erano più basse, rispetto alle tariffe minime indicate nello studio di settore. Tali elementi hanno determinato una riduzione dei ricavi” inoltre, prosegue la Commissione “sulla bassa redditività dell’esercizio ha inciso anche l’elevato importo del canone di locazione che ammontava a Euro. *** più aggiornamento annuale ISTAT, come rilevabile dal contratto di locazione in atti ed inoltre sono state sostenute spese di ristrutturazione dell’albergo per Euro. ***;

Concludendo, le presunzioni reperite nel corso di attività ispettive per avere una certa attendibilità devono essere adeguate alla natura del soggetto interessato, alla specifica attività svolta e alle sue dimensioni. Va comunque precisato che l’attività di accertamento degli uffici finanziari deve svolgersi nel rispetto delle cautele previste anche dallo Statuto del Contribuente per evitare arbitrii e la violazione dei fondamentali diritti del contribuente.

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