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INFORMAZIONI CERVED: IPOTESI D’ILLEGITTIMITA’ DELL’ANNOTAZIONE DEL FALLIMENTO

garante privacy

Riferimenti:

– art.11 del D.Lgs. n°196/2003 (Codice sulla Privacy)

 

Accade spesso che a seguito di un fallimento di una società di capitali, il socio della stessa e/o l’amministratore unico, soltanto per aver ricoperto delle cariche all’interno della società fallita, si vedano rifiutare dei finanziamenti da parte delle banche o altre società finanziarie perché dal “Dossier personale”, estratto dal sistema Cerved, risulta il fallimento della società in cui rivestivano in passato una carica sociale.

E’ evidente che l’associazione dell’informazione a un evento pregiudizievole che non li riguarda direttamente poiché riferibile solo ed esclusivamente alla società fallita, arreca un enorme pregiudizio alla reputazione della persona fisica, giacché il segnalato accostamento è suscettibile di far travisare caratteri e qualità professionali e imprenditoriali dell’interessato, pregiudicandone l’affidabilità commerciale, in ragione di fatti per i quali non risulta provata l’ascrivibilità allo stesso.

La questione dev’essere trattata al cospetto dell’art.11, comma 1, lett. a) e d) del Codice sulla Privacy, che richiede non solo che i dati personali debbano essere trattati in modo lecito e corretto ma anche in modo completo e pertinente e non devono in nessun caso eccedere rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati.

Ora, la Cerved Group S.p.A. (di seguito, “Cerved”), com’è noto, gestisce delle banche dati costituite presso di sé estraendo informazioni da altri archivi (formati da soggetti pubblici e privati) al fine di fornire alla propria clientela (composta per lo più da professionisti e operatori economici, quali banche, finanziarie, imprese e agenzie d’informazioni) servizi aventi contenuto informativo nell’ambito della c.d. business information.

Il novero dei soggetti censiti dalla società è, dunque assai ampio: si tratta di società, imprenditori individuali o persone fisiche, rispetto alle quali vengono fornite informazioni relative a c.d. “cariche/qualifiche gestionali”, partecipazioni societarie, protesti, pregiudizievoli di conservatoria, dai quali si può desumere la loro “affidabilità commerciale” alla luce degli eventi pubblici rilevanti censiti.

I dati, però, contenuti nei dossier che riguardano un determinato soggetto giuridico devono riferirsi direttamente a questi.

Nel perseguimento della propria finalità informativa realizzata rispetto alle persone fisiche (tramite il c.d. “dossier persona”), come più volte ribadito dal Garante della Privacy, è da censurare la condotta del Cerved che nella rappresentazione dei dati personali contenuti nei dossier associa alle informazioni personali relative ai soggetti censiti anche eventi che si riferiscono a terzi presso cui tali soggetti hanno operato o rivestito cariche (ad esempio, nel “dossier persona”, vengono associate informazioni relative a procedure concorsuali delle c.d. “imprese connesse”).

In sostanza il Garante della Privacy, ha ritenuto illegittima l’indicazione nel “dossier persona” del fallimento di società nell’ambito dei prodotti informativi relativi a persone fisiche, poiché non risulta pertinente rispetto alla finalità di fornire informazioni commerciali. Trattasi, a parere del Garante, di un evento (pregiudizievole) accaduto in relazione a terzi (e, in particolare, alla società in cui le persone fisiche avevano operato), rispetto al cui verificarsi l’ordinamento prevede una responsabilità personale in capo ai soggetti che rivestono le qualifiche dagli stessi ricoperte solo in casi residuali e accertabili giudizialmente (cfr. artt. 2462 e 2476 cod. civ.; art. 146 r.d. 16 marzo 1942, n. 267).

La menzionata associazione effettuata da Cerved è suscettibile di mettere in cattiva luce il soggetto cui l’informazione viene a riferirsi: in questi casi l’interessato potrebbe vedere incrinato il proprio diritto meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale e particolare, è conosciuta o poteva essere conosciuta con l’applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva.

Tenuto conto dei molteplici provvedimenti del Garante della Privacy in materia*, possiamo certamente concludere che l’informazione relativa a un evento che ha interessato una società –informazione comunque sempre reperibile, anche attraverso il “dossier impresa” riferito ad essa– non può essere associata direttamente e immediatamente a soggetti che abbiano operato o rivestito cariche in essa, trattandosi, per l’appunto, di entità diverse.

Avv. Alessandro Sgrò

* Per maggiori info sulla procedura di cancellazione al Cerved o per visionare i provvedimenti in materia da parte del Garante della Privacy invia una mail al seguente indirizzo: info@studiolegalesgro.net

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ATTI FIRMATI DAI C.D. FALSI DIRIGENTI

 

Riferimenti:

Corte Costituzionale, sentenza n°37/2015.

Ben nota a tutti è la sentenza n°37/2015 con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che ha consentito all’Agenzia delle Entrate di nominare figure dirigenziali senza un regolare concorso pubblico.

Tralasciando, per ora, la vicenda processuale che è culminata con la declaratoria d’illegittimità costituzionale di cui sopra, ciò che appare interessante esaminare sono le conseguenze che detta pronuncia può avere nei confronti dei contribuenti che si sono visti notificare, per lungo tempo, atti sottoscritti da soggetti che hanno ricoperto una posizione dirigenziale con procedura ab origine viziata.

La voce che maggiormente si è diffusa all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale è di ritenere tutti gli atti firmati dai c.d. falsi dirigenti come giuridicamente inesistenti, con la conseguente possibilità di impugnare detti atti (ed eventuali iscrizioni a ruolo) anche se spirati i termini per proporre ricorso innanzi alle autorità giudiziarie. Difatti, tecnicamente, colui che vuol far valere in giudizio l’inesistenza di un atto impositivo non è vincolato da termini e il giudice può rilevare detto vizio anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Sulla scorta di tal entusiastica e, me lo permettete, ottimistica prospettiva, alcuni contribuenti hanno preso contatto con lo studio per valutare l’opportunità di ricorrere avverso avvisi di accertamento o cartelle di pagamento mai oggetto di opposizione essendo abbondantemente trascorsi i termini per proporre ricorso.

A parere di chi scrive, il diffuso ottimismo non appare condivisibile, almeno nei termini dell’inesistenza giuridica degli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate.

Difatti, l’atto tributario è inesistente solo quando non è conforme al modello legale e quando tale difformità è talmente rilevante da impedire che all’atto possa riconoscersi natura provvedimentale. Nel caso, invece, di atti sottoscritti da chi non aveva il relativo potere sarebbe più corretto ragionare in termini di nullità. Occorre non dimenticare che la categoria della nullità in re tributaria è ben diversa da quella disciplinata dal diritto amministrativo e che il diritto tributario è un sottosistema del diritto amministrativo, pertanto le disposizioni delle leggi fiscali (che disciplinano la medesima materia), avendo natura speciale, prevalgono sulle norme di carattere generale della L. n°241 del 1990.

In termini concreti, per far valere la nullità di un atto impositivo emesso dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agente della riscossione, il contribuente deve proporre ricorso entro il termine previsto dalla legge e non in qualunque momento, come potrebbe accadere nel caso in cui si eccepisse l’inesistenza dell’atto opposto. Pertanto, l’eccezione circa la nomina del dirigente che ha sottoscritto l’atto notificato può essere fatta valere solo per i provvedimenti impositivi i cui termini per la proposizione del ricorso non siano ancora spirati.

Chiaro, che in quest’ultimo caso, l’eccezione del contribuente è totalmente “al buio” poiché quest’ultimo difficilmente è in grado a priori di sapere se chi ha sottoscritto l’atto era effettivamente un dirigente nominato senza un regolare concorso. Ad ogni buon conto, innanzi a un’eccezione del genere è sempre onere del Fisco provare in giudizio i requisiti di validità della nomina del dirigente. Se ciò avvenisse, è bene precisare che il contribuente potrebbe essere condannato al pagamento delle spese del giudizio; inoltre la controparte potrebbe chiedere al Giudice, finanche, la liquidazione dei danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.. A tal proposito, si precisa che il carattere temerario della lite – che costituisce presupposto necessario per la condanna al risarcimento dei danni – va ravvisato nella consapevolezza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di tale consapevolezza.

E’, dunque, consigliabile, formulare nel ricorso ulteriori e plausibili eccezioni riferite all’atto da impugnare e non unicamente la questione decisa dalla Corte Costituzionale.

Si tenga conto, poi, che l’Amministrazione Fiscale, anche nelle more del giudizio e purché ancora nei termini, potrà sempre emanare un nuovo provvedimento sottoscritto regolarmente dal dirigente nominato con concorso o, comunque, dal capo ufficio ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. n°600/1973 (si parla in questi casi della c.d. autotutela sostitutiva).

Stante quanto sopra, non è certamente mia intenzione scoraggiare i contribuenti nell’intraprendere delle azioni legali nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, ma solo di fornire, almeno spero, una più equilibrata valutazione dell’intera vicenda; fermo restando che sul tema è comunque davvero complesso trarre delle univoche conclusioni.

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CARTELLA DI PAGAMENTO AI SOCI DI UNA S.R.L.

 

 

soci

Riferimenti:

art. 2462 c.c.

art. 2495 c.c.

Cass. Civ. Ord. n°8701/2014

Una domanda interessante che spesso viene posta dai soci o amministratori di una S.r.l. è se sussiste una loro personale responsabilità per i debiti tributari contratti da una società oramai estinta.

La risposta ci è offerta dall’art. 2495 c.c.. Detta norma dispone che successivamente alla cancellazione della società, ferma restando l’estinzione della stessa, i creditori sociali (dunque anche il Fisco) non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.

Dunque, dalla norma in esame non sussiste alcun dubbio che la responsabilità per i debiti tributari, anche in caso di estinzione della società, può passare dalla S.r.l. ai singoli soci o amministratori.

Tuttavia, sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione che con la recentissima ordinanza n°8701/2014 ha precisato che per aversi il c.d. passaggio di responsabilità dalla società estinta ai singoli soci è indispensabile la notifica a questi ultimi di “un avviso di accertamento cioè un motivato provvedimento impositivo in cui si evidenzino le ragioni di questo passaggio”. Secondo, dunque, i giudici di legittimità, l’Amministrazione Finanziaria non potrebbe procedere all’iscrizione a ruolo delle somme inevase da una società cancellata dal registro delle imprese  senza prima notificare ai singoli soci o amministratori un apposito avviso di accertamento ove risulti il passaggio di responsabilità

Pertanto la cartella di pagamento notificata ai soci personalmente deve essere dichiarata illegittima tutte le volte che non sia preceduta da un avviso di accertamento che indichi i motivi della loro chiamata in causa quali debitori al posto della società estinta.

 Detto avviso, inoltre, come precisato più volte dalla Corte di Cassazione, deve spiegare dettagliatamente il presupposto dell’eventuale responsabilità del socio. In altri termini è sempre onere del Fisco provare che, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione di una quota dell’attivo ai soci e che questa sia stata riscossa.

ATTENZIONE:

secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale la notifica di una cartella di pagamento a società dichiarata cancellata dal registro delle imprese e, dunque, giuridicamente estinta deve considerarsi nulla. Pertanto un’eventuale notifica potrà farsi solo ai soci ma con tutte le cautele di cui sopra.

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ACCERTAMENTO NULLO SE MANCA UN CONTRADDITTORIO CON IL CONTRIBUENTE

 

Riferimenti:

– art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente ( L. n. 212 del 2000);

– Comm. Tributaria Provinciale- Reggio Emilia, sentenza n°115/2/2016;

– art. 97 Cost.

Un aspetto deve essere chiaro: un avviso di accertamento fiscale, di regola, deve essere preceduto da una fase istruttoria in cui l’Amministrazione Finanziaria assicura al cittadino la possibilità di esporre e far valere le proprie ragioni e di conoscere le opposte argomentazioni.

Il contraddittorio preventivo costituisce espressione del principio di cooperazione tra contribuente e Fisco, cui s’ispirano le norme dello Statuto del contribuente, volte a indirizzare il comportamento di entrambi i soggetti del rapporto di imposta verso la corretta applicazione delle disposizioni fiscali.

Interessante, in materia è la recentissima sentenza n.°115/2/2016 emessa dalla Commiss. Trib. Prov., Reggio Emilia, che ha ritenuto illegittimo un avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente senza aver garantito a quest’ultimo l’effettiva partecipazione all’accertamento tributario.

Secondo i giudici emiliani ogni contribuente ha necessità di essere informato e di conoscere gli atti che lo riguardano e di difendersi di fronte agli addebiti che gli vengono mossi, sia che la verifica venga effettuata presso la sede del soggetto che, e a maggior ragione, quando avvenga “a tavolino” date le minori possibilità di precedente confronto con gli accertatoli.

Il contraddittorio ha una duplice valenza attua il diritto di difesa da un lato e il principio di imparzialità dall’altro grazie ad una corretta valutazione di tutti gli elementi che possono essere opposti nell’ambito di una completa istruttoria.

La possibilità di poter contestare e discutere il contenuto dell’atto di accertamento prima della sua emanazione è un interesse che si configura nei confronti di ogni contribuente qualunque sia la metodologia di verifica adottata, il luogo in cui questa avviene e il fatto che il tributo in oggetto sia o meno armonizzato.

Diversamente ragionando, infatti, avremmo una disparità di trattamento in analoghe fattispecie con palese violazione del dettato costituzionale.

 

 

COMUNICAZIONE D’IPOTECA? ECCO COSA FARE…

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Non vi è più alcun dubbio, l’Equitalia prima di procedere all’iscrizione di ipoteca su un immobile è obbligata a darne preventiva comunicazione al debitore.

Difatti l’art.77, comma 2-bis,del D.P.R. 602/1973 dispone che “L’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1”.

Pertanto, un’iscrizione d’ipoteca senza la preventiva comunicazione deve essere dichiarata illegittima per patente violazione della norma summenzionata.

Cosa fare quando si riceve una comunicazione preventiva?

La prima cosa da verificare è che essa contenga il dettaglio del presunto debito, da cui risultano non solo gli importi contestati ma anche la data di presunta notifica dei precedenti atti (cartelle di pagamento – avvisi di accertamento Agenzia delle Entrate – avvisi di addebito INPS).

In mancanza siamo difronte a un atto illegittimo per difetto assoluto di motivazione.

Ritengo, ma sul punto non vi è giurisprudenza univoca, che l’atto debba indicare anche l’immobile su cui verrà iscritta ipoteca.

Fatta questa verifica preliminare è sempre opportuno accertarsi che:

  1. a) gli atti indicati nella comunicazione preventiva siano stati effettivamente notificati e che la notifica sia avvenuta rispettando le norme di legge. In caso contrario, il Giudice potrebbe rilevare la nullità della notifica e, di conseguenza, annullare la comunicazione preventiva inibendo ad Equitalia di iscrivere ipoteca sull’immobile;
  2. b) che i tributi indicati nella comunicazione preventiva non siano caduti in prescrizione ( ciò accade più spesso di quanto si pensi). Al riguardo, per calcolare i termini occorre far riferimento alla data di notifica degli atti indicati nel “Dettaglio del Debito”.

Attenzione: molti erroneamente ritengono che la prescrizione operi automaticamente e che l’Equitalia sia tenuta ad annullare l’iscrizione a ruolo a semplice richiesta del contribuente. Niente di più sbagliato: per far valere l’intervenuta prescrizione è necessario ricorrere in sede giudiziale poiché solo il Giudice può dichiarare l’intervenuta prescrizione del tributo!

Prestate attenzione: nel caso in cui rilevate che la notifica dell’intimazione sia tardiva, rivolgetevi a un professionista per proporre ricorso in sede giudiziaria poiché la mancata opposizione nei termini di legge permetterà di far rivivere i termini a favore di Equitalia a decorrere dalla data di notificazione della comunicazione preventiva poiché quest’ultima ha la funzione di interrompere i termini prescrizionali.

La comunicazione preventiva è un atto opponibile in sede giudiziaria. Ciò non toglie che se non si ottiene la sospensione dell’atto, l’Equitalia anche nelle more di una opposizione possa comunque iscrivere ipoteca sull’immobile.

Avv. Alessandro Sgrò

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LE SANZIONI NON SEMPRE SONO DOVUTE!

 

 

Riferimenti:

Art. 5 del D.Lgs. n°472/1997;

Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, sent. n°179/1/2013;

Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sent. n°258/29/2012.

 

In un periodo di forte contrazione economica, come quello che stiamo vivendo, succede che le piccole e medie imprese non riescano con tempestività a versare al fisco le somme a quest’ultimo dovute. Ciò, ovviamente, non impedisce all’Amministrazione Finanziaria di procedere in via esecutiva per il recupero di delle somme inevase.

Se quanto sopra è vero è altrettanto certo quello che da sempre lo scrivente studio sostiene anche in sede giudiziaria, e precisamente che qualora  l’omesso pagamento del tributo è stato provocato da ripetuti ritardati pagamenti delle somme dovute al contribuente da soggetti pubblici e/o privati, quest’ultimo non può rispondere anche delle sanzioni amministrative irrogate per l’omesso o ritardato pagamento poiché esulerebbe l’elemento soggettivo della colpa ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 472/1997.

Difatti, la norma in esame stabilisce che “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. In sostanza, detta norma  richiede non solo che il soggetto abbia agito con coscienza e volontà ma anche che egli sia colpevole, ovvero che gli si possa rimproverare un comportamento quantomeno negligente.

E’ palese che l’assenza di colpa, ovvero di avere fatto uso dell’ordinaria diligenza per rimuovere l’ostacolo frapposto all’esatto adempimento delle obbligazioni,  dev’essere rigorosamente provata in giudizio al fine di evitare il versamento delle somme richieste a titolo di sanzione amministrativa.

Sul punto, appare interessante una recentissima pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso (sentenza n°179/1/2013) che a seguito di ricorso proposto dal contribuente ha dichiarato la parziale nullità di una cartella di pagamento con riferimento alle sole sanzioni amministrative.

 Nel caso sottoposto all’attenzione della Commissione Tributaria molisana, il contribuente aveva dimostrato in giudizio che il Comune di Campobasso, per il quale svolgeva prevalentemente in appalto la sua attività, aveva effettuato con ritardo notevolissimo (anche di otto mesi) i pagamenti dovuti al ricorrente per centinaia di migliaia di Euro, tanto da costringere la società allo sconto delle fatture presso le banche con notevoli perdite economiche. Ha, altresì, provato documentalmente che anche per la restante attività svolta in regime di subappalto per imprese private doveva ancora percepire importi rilevanti.

La Commissione giudicante, valutata la copiosa documentazione depositata dal ricorrente, constatava che quest’ultimo “ in più occasioni ebbe a sollecitare i pagamenti che le erano dovuti, si premurò di scontare le fatture in banca con evidenti notevoli perdite economiche, dovette richiedere un mutuo alla banca, dovette contrarre debiti verso i fornitori ed i propri dipendenti per somme ingenti e richiedere dilazioni di pagamento alla stessa A.F. per le annualità precedenti. E’ di tutta evidenza, a questo punto che la ricorrente ha ampiamente fornito la prova di avere usato tutta la ordinaria diligenza possibile per rimuovere l’ostacolo frapposto all’esatto adempimento della obbligazione tributaria, anche mediante reperimento di altre fonti finanziarie, sì che deve necessariamente escludersi che nel suo comportamento sia ravvisabile la colpa. Deve pertanto essere annullata la opposta cartella limitatamente alle sanzioni ed agli interessi”.

Sul punto, si segnala anche la sentenza n°258/29/2012 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che precisa “quando l’inosservanza della norma è necessariamente ed inevitabilmente cagionata da una forza esterna al soggetto obbligato, non sussiste il presupposto per la nascita dell’obbligazione delle soprattasse; ed è stato inoltre, sostenuto che, poiché anche la materia Fiscale si fonda su principi di correttezza ed equità, non può mai trovare giustificazione logica prima che giuridica, la punizione indiscriminata dell’incolpevole contribuente che versi, e lo provi, in stato di coatta incapacità economica”.

Avv. Alessandro Sgrò

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EQUITALIA: ISCRIZIONE IPOTECARIA

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Ipotesi di illegittimità

Riferimenti:

art. 77 del D.P.R. n°602/1973

Corte di Giustizia Europea , Causa Sopropè C-349/07

Corte di Giustizia Europea, cause riunite C-129/13 e C-130/13;

Cass. Civ. SS.UU. sentenza n° 19667/2014;

 

E’ nota, per chi frequenta le aule tributarie, l’enorme resistenza da parte di alcune Commissioni nel riconoscere, difronte a un’eccezione del contribuente, l’illegittimità di un provvedimento per violazione del diritto del c.d. contraddittorio preventivo e, cioè, quel fondamentale diritto per ogni persona di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi provvedimento, sia se emanato dall’ente impositore e sia se emesso dall’agente per la riscossione, che possa incidere in modo negativo nella propria sfera di interessi.

In verità, detto diritto già da tempo è stato riconosciuto come un principio fondamentale dell’Unione Europea tanto che la Corte di Giustizia Europea in alcune sue recenti pronunce ha affermato che il diritto al contraddittorio, in qualsiasi procedimento, è attualmente non solo sancito negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il rispetto dei diritti di difesa nonché il diritto a un procedimento equo, bensì anche dall’art. 41 che garantisce il diritto a una buona amministrazione, inteso come diritto di ascolto del destinatario prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo. Conclude la Corte che in forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. (Causa Sopropè C-349/07; cause riunite C-129/13 e C-130/13 Kamino International Logistic BV e Datema Hellman Wortwide Logistic BV.).

Ebbene, con la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, SS.UU. n°19667/2014, si è finalmente riconosciuto, anche nel nostro Paese, l’obbligo in capo all’amministrazione di attivare il c.d. contraddittorio endo-procedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente. Principio il cui rispetto è dovuto a prescindere che ciò sia espressamente previsto da una norma positiva.

In sostanza la Suprema Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’iscrizione di un’ipoteca, da parte di Equitalia, poiché non preceduta da un apposito preavviso. Difatti i giudici di legittimità hanno affermato che “l’Amministrazione prima di iscrivere ipoteca ai sensi dell’art. 77 del D.P.R. n°602/1973 deve comunicare al contribuente di procedere alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine, che per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni, perché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto”.

La verità è che il principio espresso dalla Suprema Corte non è altro che un diritto da sempre riconosciuto dallo statuto del contribuente che alcune Commissioni Tributarie, per i noti problemi relativi al difetto d’imparzialità, ignorano. Difatti da un’attenta lettura delle disposizioni di cui alla L. n°212/2000 emerge chiaramente (si leggano gli artt. 5,6, 7,10 e 12) la necessità di una decisione partecipata mediante l’instaurazione di un valido ed efficace contraddittorio tra amministrazione e contribuente. Del resto lo statuto del contribuente altro non è che un complesso di norme la cui funzione è di improntare l’attività amministrativa alle regole dell’efficienza e della trasparenza, realizzando l’inalienabile diritto di difesa del cittadino.

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NOTIFICA DEGLI ATTI TRIBUTARI ALLE SOCIETA’

 

 

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Riferimenti:

– art. 145 c.p.c.;

– Corte di Cassazione, sentenza n°1307/2015.

L’art. 145 c.p.c. dispone che “la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede”.

La norma non lascia dubbi interpretativi: per ritenersi valida la notifica di un atto deve eseguirsi preliminarmente al legale rappresentante della società o persona addetta alla ricezione degli atti. Solo qualora venga accertata la loro assenza si potrà procedere alla consegna dell’atto da notificare al portiere dello stabile. Ciò deve comunque risultare dalla relazione di notificazione.

Sul punto la sentenza n° 1307/2015 della Corte di Cassazione è chiara: “nella logica della norma la consegna al portiere (così come la consegna “ad altra persona addetta alla sede”) non costituisce una indifferente alternativa, come sembra credere la parte ricorrente, circa l’identificazione del soggetto cui l’atto può essere consegnato, perchè richiede che da parte dell’ufficiale notificante sia accertata, come presupposto legittimante, la “mancanza” del “rappresentante della società” o della “persona incaricata di ricevere le notificazioni”.

Inoltre, l’eventuale consegna dell’atto a persona diversa del legale rappresentante, purché documentata, chiede all’agente notificatore un ulteriore e necessario documento e cioè l’invio di una raccomandata che informi il legale rappresentante della persona giuridica che l’atto è stato consegnato a persona diversa. Difatti, la summenzionata sentenza precisa che “Occorre anche la prova che l’atto, non consegnato direttamente al destinatario effettivo, sia comunque pervenuto, e quando, nella “sfera di conoscenza” di questo ultimo, in particolare mediante la produzione della ricevuta della raccomandata, e in ogni caso del relativo avviso di ritorno, con la quale sia stata data al destinatario effettivo notizia della consegna dell’atto ad uno dei soggetti normativamente legittimati a riceverlo”.

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LA COMUNICAZIONE D’IRREGOLARITA’

La comunicazione d’irregolarità

(art. 36 bis D.P.R. n° 600/1973 e art. 54 D.P.R. n° 633/1972)

 

Le dichiarazioni presentate dai contribuenti sono di regola sottoposte a un primo controllo automatico da parte dell’Agenzia delle Entrate volto a verificare la correttezza formale e la tempestività dei versamenti. Cosa accade e come ci dobbiamo comportare se a seguito di detto controllo riceviamo una comunicazione di irregolarità o addirittura una cartella di pagamento? Scopriamolo insieme in questa breve disamina della materia.

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NOVITA’: NOTIFICA CARTELLA VIA PEC

 

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Riferimenti:

  • Commissione Tributaria Provinciale di Latina, sentenza n°992/1/2016;
  • Commissione tributaria Provinciale di Lecce, sentenza n°611/2/2016.

 

E’ ormai pacifico che all’Agente della Riscossione sia consentito notificare a mezzo Posta Elettronica Certificata sia ai professionisti sia alle imprese individuali e alle società tutti gli atti della riscossione (cartelle di pagamento, avvisi di intimazione e atti cautelari).

Detta facoltà è prevista espressamente all’art. 26 del D.P.R. 602/1973.

Ci si chiede, a ragione, se nonostante la previsione normativa detta notifica sia legittima o si presti a valide eccezioni in sede giudiziaria.

A tal proposito, occorre precisare che nella maggior parte dei casi esaminati dallo scrivente, l’Agente della riscossione (ora Equitalia Servizi di riscossione S.p.a.) invia a mezzo PEC ai destinatari (professionisti, imprese individuali o società) gli atti della riscossione attraverso un semplice file in formato “pdf”. Trattasi in verità di una copia informatica priva di attestazione di conformità e, dunque, per nulla equiparabile all’originale che rimane invece nella mani dell’Agente della riscossione.

Procedimento quest’ultimo, dunque, ben diverso dalla notifica a mezzo posta attraverso il quale il contribuente entrava in possesso dell’originale della cartella di pagamento.

E’ questo sostanzialmente il punto maggiormente dibattuto e oggetto di contestazione in sede giudiziaria. In altri termini, ci si chiede, se la notifica di un documento informatico senza alcuna attestazione di conformità possa considerarsi una notifica giuridicamente esistente. In caso contrario l’atto dovrà essere dichiarato illegittimo.

Orbene, secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sentenza n°611/2/2016), “Con il sistema pec in realtà non viene inoltrato il documento informatico, ma la copia (informatica) del documento cartaceo ove il documento informatico rappresenta l’originale del documento giuridicamente valido. La questione ha rilievo perché in ogni caso il destinatario riceve solo la copia (informatica) dell’atto e tale copia senza una attestazione di conformità apposta da soggetti all’uopo abilitati a norma del c.c. non può assumere alcuna valenza giuridica perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico in tutto il suo contenuto al documento originale. Nel caso di specie da quanto si evidenzia nella fotocopia della cartella di pagamento allegata agli atti, in essa non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge e dunque si deve affermare che al più il ricorrente ha ricevuto una copia informale dell’originale della cartella di pagamento”.

Pertanto, secondo la Commissione Tributaria di Lecce siamo di fronte a un atto giuridicamente inesistente e pertanto illegittimo.

Dello stesso avviso è la recentissima sentenza n°992/1/2016 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Latina che sul punto si è espressa come segue: “Il sistema di notifica delle cartelle di pagamento a mezzo Pec (ma anche gli altri atti emessi dall’Agente della riscossione e Agenzia delle Entrate) come attualmente disciplinati fanno ritenere che tale notifica sia affetta da nullità insanabile, contrariamente a quanto affermato nella normativa e dal codice dell’amministrazione digitale. La posta elettronica certificata non offre più le stesse garanzie della raccomandata tradizionale…omissis….dunque se nella fotocopia della cartella di pagamento allegata alla Pec non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge, si deve affermare che il ricorrente ha ricevuto solo una copia informale dell’originale della cartella di pagamento, al pari di una volgare fotocopia”.

Dal contesto giurisprudenziale esaminato, sembrerebbe potersi concludere che la procedura di notifica degli atti della riscossione a mezzo PEC non può in alcun modo essere equiparata a una raccomandata a.r. se non contiene la firma digitale e, pertanto, qualora l’atto allegato sia sprovvisto dell’attestazione di conformità da parte di un Pubblico Ufficiale, questo deve essere dichiarato giuridicamente inesistente.

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