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TARIFFA RIFIUTI ALBERGHI

Riferimenti:

art. 68 del D.Lgs. n°507 del 1993;

art. 69 del D.Lgs. n°507 del 1993;

Comm. Trib. Prov. di Lecce, sent. nn°329/2/2013, 331/2/2013, 336/2/2013, 353/2/2013;

Comm. Trib. Reg. per la Puglia – sez. Staccata di Lecce, sent. n°170/22/2014.

 

Per comprendere meglio la disputa che vede impegnati molti gestori di attività ricettive avverso le  amministrazioni locali che, in contrasto alla normativa statale ed europea, applicano alle strutture ricettive delle tariffe che non tengono per nulla conto della reale capacità produttiva di rifiuti delle camere destinate all’ospitalità ricettiva, dobbiamo necessariamente partire dal dato normativo per poi soffermarci sulla recente giurisprudenza e, infine, trarne le debite considerazioni.

 Orbene, l’art. 68 del D.Lgs. n°507 del 1993 stabilisce che i Comuni, per l’applicazione della tariffa rifiuti, devono adottare apposito regolamento contenente la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali e aree con omogenee potenzialità di rifiuti tassabili con la stessa misura tariffaria. Con il comma 2 del suddetto articolo, il legislatore ha voluto intendere che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto di alcuni gruppi di attività o di utilizzazione, specificando alla lettera c, che sono compresi in una unica categoria i locali e aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri.

L’art. 69 del citato D.Lgs. n°507 del 1993 dispone, inoltre, che i Comuni devono deliberare in base alla classificazione e ai criteri di graduatorie contenuti nel regolamento, le tariffe per unità di superficie dei locali ed aree compresi nelle singole categorie o sottocategorie da applicarsi nell’anno successivo. La deliberazione, deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica, nonché i dati e le circostanze che ne hanno determinato l’aumento per la copertura minima obbligatoria del costo.

Dal quadro normativo di cui sopra emerge con solare evidenza che i singoli Comuni nel regolamento applicativo della tariffa rifiuti devono obbligatoriamente indicare le ragioni di fatto e l’iter logico giuridico che li ha indotti a individuare delle tariffe differenti per le aree con omogenea potenzialità di produrre rifiuti. Ciò però, lo sappiamo bene, viene solitamente disatteso dalle amministrazioni locali che in sede regolamentare omettono di indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe e i dati relativi ai costi del servizio.

Proprio in virtù di detta condotta omissiva che la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce con le  sentenze nn° 329/2/2013, 331/2/2013, 336/2/2013, 353/2/2013 ha dichiarato l’illegittimità della tariffa rifiuti applicata agli alberghi e campeggi  ritenendo irragionevole “che un nucleo familiare in vacanza produca maggiori rifiuti di quelli prodotti ordinariamente nella propria abitazione, a differenza delle altre superfici aperte al pubblico alle quali hanno libero accesso numerose persone e quindi hanno una potenzialità di creare maggiori rifiuti”.

La Commissione, prosegue richiamando alcune importanti pronunce della stessa Commissione Provinciale di Lecce (sentenze nn°612 – 614/09/08 del 18.11.2008, 629/02/10 del 03.11.2010, 294 – 295 /02/11 del 10.5.2011; 536/02/11 del 12.07.2011), in cui i giudici hanno ritenuto nel caso di attività alberghiere e/o altre strutture ricettive, sussistere al loro interno aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, sale da ballo e superfici comuni aperte al pubblico, minore per le aree destinate alle unità abitative.

Tale orientamento  è stato di recente confermato anche dalla Commissione Tributaria Regionale per la Puglia – sez. Staccata di Lecce – con le sentenze nn° 71, 72 e 73 del 04.06.2012 e dalla più recente sentenza n°170/22/2014.

Detto ultimo profilo, analizzato con attenzione dalle Commissioni di merito, sembra invece sia stato totalmente trascurato da alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione (si veda la sentenza n°12859/2012) e, in ultimo ,dal TAR della Toscana (sentenza n° 627/2014), che  rifugiandosi sul dato della “comune esperienza” ritengono la legittimità di una tassazione più elevata per le attività ricettive a causa della maggiore produttività di rifiuti di un albergo rispetto a una civile abitazione.

Difatti, dette pronunce hanno un unico comune denominatore: non fanno alcuna distinzione ai fini della tariffa rifiuti, tra esercizi con servizio di ristorazione e quelli privi di tale servizio e non si pongono neppure il problema di una reale distinzione delle aree utilizzate per il solo pernottamento da quelle, invece, riservate alla consumazione dei pasti.

 In altri termini, se può considerarsi giustificato (ma non lo è, come diremo in seguito) un regime di tassazione più elevato per le attività ricettive con servizio di ristorazione, in considerazione del fatto che l’esercizio di un’attività di questo tipo, che può essere svolta anche a persone che non pernottano può determinare una produzione quantitativamente e qualitativamente significativa di rifiuti, altrettanto non può dirsi per tutte le attività prive del servizio di ristorazione.

Non si comprende, infatti, perché un albergo che non eroga servizi di ristorazione e che, quindi, manifesta una capacità di produrre rifiuti pari o, addirittura, inferiore a quella delle abitazioni private (assenza di rifiuti organici), debba essere assoggettato a un regime di tassazione di gran lunga più elevato (a volte più del triplo!) rispetto a quello previsto per le abitazioni private.

Ma vi è di più: nelle strutture ricettive (alberghiere ed extralberghiere) che garantiscono anche un servizio di ristorazione è ragionevole che la tariffa rifiuti debba essere applicata differenziando le aree che per loro natura sono suscettibili di produrre rifiuti in misura pari a quelle delle civili abitazioni (camere, corridoi, disimpegni, ripostigli, balconi e terrazze ecc.), applicando per queste aree la tariffa più mite prevista per le abitazioni, dalle aree invece destinate a produrre maggiori rifiuti (ristorante, bar, sala colazione, cucina ecc.).

E’, dunque proprio sulla diversificazione delle aree a seconda della loro destinazione che si pone il problema circa la legittimità della tariffa concretamente applicata.

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