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IMPOSTA DI SOGGIORNO

Nessuna sanzione amministrativa potrà essere

 comminata al gestore della struttura ricettiva se l’ospite non intende versare l’imposta di soggiorno.

 

Con sentenza n. 653/2012, il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, pur riconoscendo la legittimità dell’imposta di soggiorno introdotta dal Comune di Padova volta a finanziare gli interventi in materia di turismo nonché per la manutenzione dei beni comunali, ha dichiarato l’illegittimità del Regolamento nella parte in cui è prevista la responsabilità amministrativa del gestore della struttura ricettiva in caso di mancato pagamento dell’imposta da parte dell’ospite.

In sostanza il TAR del Veneto ritiene, correttamente, che il gestore della struttura ricettiva non può essere considerato dal Comune come soggetto passivo né tatomeno come sostituto d’imposta e, dunque, nel caso di mancato pagamento potrà essere sanzionato amministrativamente solo ed esclusivamente l’ospite “evasore”.  Difatti il gestore non riscuote il tributo per un interesse proprio, connesso a un possibile guadagno ricavabile dall`attività di riscossione,  ma opera soltanto come titolare della struttura senza poterne ricavare un beneficio economico. Dunque il regolamento sull’imposta di soggiorno deve essere interpretato nel senso che la sanzione per omesso versamento dell`imposta colpisce il “vero” soggetto passivo, cioè chi pernotta nell`albergo e non invece chi lo gestisce.

Per quanto invece riguarda gli ospiti che alloggiano in strutture ricettive per motivi di lavoro il Tribunale ha valutato legittima l’imposizione sull’assunto che il gettito “è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”, pertanto ne consegue, sempre a giudizio del Tribunale, che anche coloro che soggiornano in strutture ricettive per motivi di lavoro usufruiscono dei vantaggi connessi agli interventi finanziati con l’imposta “in quanto tali interventi non hanno ad oggetto il turismo in senso stretto, ma più in generale la fruizione della città.”

Da quanto sopra, riteniamo, che le conclusioni a cui è giunto il TAR Veneto, anche sulla scia di alcune precedenti pronunce da parte dei tribunali amministrativi regionali, si possano estendere a tutti i Comuni ove è stata introdotta l’imposta di soggiorno. In particolare possiamo concludere che nessuna responsabilità può essere attribuita al gestore della struttura ricettiva in caso di mancato pagamento dell’imposta da parte dell’ospite, difatti gli importi eventualmente dovuti ma non corrisposti dai fruitori dei servizi ricettivi dovranno essere recuperati dal Comune nei confronti dei soggetti passivi sulla base delle dichiarazioni che i gestori della struttura ricettiva trasmetteranno nei modi e nelle forme previste da ogni singolo regolamento comunale.

 

Riferimenti giurisprudenziali:

T.A.R. Toscana,  sentenza n. 1808/2011;

T.A.R. Veneto, sentenza n. 653/2012;

T.A.R. Puglia, sentenza n. 748/2012.

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TARIFFA RIFIUTI ALBERGHI

Riferimenti:

art. 68 del D.Lgs. n°507 del 1993;

art. 69 del D.Lgs. n°507 del 1993;

Comm. Trib. Prov. di Lecce, sent. nn°329/2/2013, 331/2/2013, 336/2/2013, 353/2/2013;

Comm. Trib. Reg. per la Puglia – sez. Staccata di Lecce, sent. n°170/22/2014.

 

Per comprendere meglio la disputa che vede impegnati molti gestori di attività ricettive avverso le  amministrazioni locali che, in contrasto alla normativa statale ed europea, applicano alle strutture ricettive delle tariffe che non tengono per nulla conto della reale capacità produttiva di rifiuti delle camere destinate all’ospitalità ricettiva, dobbiamo necessariamente partire dal dato normativo per poi soffermarci sulla recente giurisprudenza e, infine, trarne le debite considerazioni.

 Orbene, l’art. 68 del D.Lgs. n°507 del 1993 stabilisce che i Comuni, per l’applicazione della tariffa rifiuti, devono adottare apposito regolamento contenente la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali e aree con omogenee potenzialità di rifiuti tassabili con la stessa misura tariffaria. Con il comma 2 del suddetto articolo, il legislatore ha voluto intendere che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto di alcuni gruppi di attività o di utilizzazione, specificando alla lettera c, che sono compresi in una unica categoria i locali e aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri.

L’art. 69 del citato D.Lgs. n°507 del 1993 dispone, inoltre, che i Comuni devono deliberare in base alla classificazione e ai criteri di graduatorie contenuti nel regolamento, le tariffe per unità di superficie dei locali ed aree compresi nelle singole categorie o sottocategorie da applicarsi nell’anno successivo. La deliberazione, deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica, nonché i dati e le circostanze che ne hanno determinato l’aumento per la copertura minima obbligatoria del costo.

Dal quadro normativo di cui sopra emerge con solare evidenza che i singoli Comuni nel regolamento applicativo della tariffa rifiuti devono obbligatoriamente indicare le ragioni di fatto e l’iter logico giuridico che li ha indotti a individuare delle tariffe differenti per le aree con omogenea potenzialità di produrre rifiuti. Ciò però, lo sappiamo bene, viene solitamente disatteso dalle amministrazioni locali che in sede regolamentare omettono di indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe e i dati relativi ai costi del servizio.

Proprio in virtù di detta condotta omissiva che la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce con le  sentenze nn° 329/2/2013, 331/2/2013, 336/2/2013, 353/2/2013 ha dichiarato l’illegittimità della tariffa rifiuti applicata agli alberghi e campeggi  ritenendo irragionevole “che un nucleo familiare in vacanza produca maggiori rifiuti di quelli prodotti ordinariamente nella propria abitazione, a differenza delle altre superfici aperte al pubblico alle quali hanno libero accesso numerose persone e quindi hanno una potenzialità di creare maggiori rifiuti”.

La Commissione, prosegue richiamando alcune importanti pronunce della stessa Commissione Provinciale di Lecce (sentenze nn°612 – 614/09/08 del 18.11.2008, 629/02/10 del 03.11.2010, 294 – 295 /02/11 del 10.5.2011; 536/02/11 del 12.07.2011), in cui i giudici hanno ritenuto nel caso di attività alberghiere e/o altre strutture ricettive, sussistere al loro interno aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, sale da ballo e superfici comuni aperte al pubblico, minore per le aree destinate alle unità abitative.

Tale orientamento  è stato di recente confermato anche dalla Commissione Tributaria Regionale per la Puglia – sez. Staccata di Lecce – con le sentenze nn° 71, 72 e 73 del 04.06.2012 e dalla più recente sentenza n°170/22/2014.

Detto ultimo profilo, analizzato con attenzione dalle Commissioni di merito, sembra invece sia stato totalmente trascurato da alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione (si veda la sentenza n°12859/2012) e, in ultimo ,dal TAR della Toscana (sentenza n° 627/2014), che  rifugiandosi sul dato della “comune esperienza” ritengono la legittimità di una tassazione più elevata per le attività ricettive a causa della maggiore produttività di rifiuti di un albergo rispetto a una civile abitazione.

Difatti, dette pronunce hanno un unico comune denominatore: non fanno alcuna distinzione ai fini della tariffa rifiuti, tra esercizi con servizio di ristorazione e quelli privi di tale servizio e non si pongono neppure il problema di una reale distinzione delle aree utilizzate per il solo pernottamento da quelle, invece, riservate alla consumazione dei pasti.

 In altri termini, se può considerarsi giustificato (ma non lo è, come diremo in seguito) un regime di tassazione più elevato per le attività ricettive con servizio di ristorazione, in considerazione del fatto che l’esercizio di un’attività di questo tipo, che può essere svolta anche a persone che non pernottano può determinare una produzione quantitativamente e qualitativamente significativa di rifiuti, altrettanto non può dirsi per tutte le attività prive del servizio di ristorazione.

Non si comprende, infatti, perché un albergo che non eroga servizi di ristorazione e che, quindi, manifesta una capacità di produrre rifiuti pari o, addirittura, inferiore a quella delle abitazioni private (assenza di rifiuti organici), debba essere assoggettato a un regime di tassazione di gran lunga più elevato (a volte più del triplo!) rispetto a quello previsto per le abitazioni private.

Ma vi è di più: nelle strutture ricettive (alberghiere ed extralberghiere) che garantiscono anche un servizio di ristorazione è ragionevole che la tariffa rifiuti debba essere applicata differenziando le aree che per loro natura sono suscettibili di produrre rifiuti in misura pari a quelle delle civili abitazioni (camere, corridoi, disimpegni, ripostigli, balconi e terrazze ecc.), applicando per queste aree la tariffa più mite prevista per le abitazioni, dalle aree invece destinate a produrre maggiori rifiuti (ristorante, bar, sala colazione, cucina ecc.).

E’, dunque proprio sulla diversificazione delle aree a seconda della loro destinazione che si pone il problema circa la legittimità della tariffa concretamente applicata.

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LA NOTIFICA ALLA COINQUILINA NON E’ VALIDA

 

Con l’ordinanza n°2705/2014, la Corte di Cassazione, sulla scia di un orientamento ormai consolidato,  ha ribadito che la consegna di  un avviso di accertamento a persona che, pur coabitando con il destinatario, non sia a lui legata da un rapporto di parentela o non sia addetta alla casa non è assistita dalla presunzione di consegna e, dunque, non realizza la fattispecie notificatoria, con la conseguente nullità della notifica (su tutte Cass. n. 13625 del 2004).

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte risultava che la notifica dell’atto precedente alla cartella di pagamento era stata effettuata dall’Agenzia delle Entrate a “persona che vive in casa” senza, tuttavia, avvisare l’effettivo destinatario con lettera raccomandata di detta avvenuta consegna a mani della coinquilina, come prescritto dall’art. 139 c.p.c.. A nulla è valso sostenere da parte dell’Agenzia che la coinquilina, a cui era stato consegnato l’atto prodromico, dev’essere considerata a tutti gli effetti di legge quale “persona addetta alla casa”.

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NOVITA’ SUI PIANI DI RATEAZIONE CON EQUITALIA

 

equitalia

 

Con la risoluzione n°32/E del 19 marzo 2014, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la norma introdotta con il Decreto del Fare, secondo la quale il piano di rateazione concordato con Equitalia decade in caso di mancato pagamento di 8 rate anche non consecutive, dovrà essere applicata anche per tutti coloro che al 22 giugno 2013, data di entrata in vigore del c.d. Decreto Fare, avevano già in corso un piano di rateazione con Equitalia.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate ha voluto riconoscere che, così com’è possibile accordare una dilazione fino a 120 rate per coloro che, prima dell’entrata in vigore del Decreto del Fare, avevano ottenuto una dilazione a 72 rate, dev’essere parimenti riconosciuto il diritto al contribuente di avvalersi della norma che prevede la decadenza dal beneficio della rateazione in caso di mancato versamento di 8 rate consecutive previste nel piano di rientro.

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IRAP PER PROFESSIONISTI: ULTIME NOVITA’ DALLA CASSAZIONE

 

Riferimenti:

Cass. ordinanza n° 2520/2014 del 5/2/2014.

Cass. ordinanza n°7153/2014 del 26/3/2014.

Cassazione sentenza n°22020/2013

In un recente articolo abbiamo dato conto della sentenza n°50/3/2014, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone che ha accolto le doglianze di un medico di base, riconoscendo a quest’ultimo il diritto di vedersi rimborsate le somme ingiustamente versate a titolo di IRAP poiché esercitava la propria attività in forma non organizzata.

Ebbene, facendo ora particolare riferimento ai professionisti che si avvalgono del contributo di praticanti  e/o di segretarie, segnaliamo due recentissime ordinanze della Corte di Cassazione che, seppur stringatamente, giungono all’importante conclusione che sia del tutto insufficiente, al fine dell’autonoma organizzazione, la presenza all’interno di uno studio legale di soli praticanti e, non certo, può considerarsi valore decisivo la presenza a studio di una segretaria.

Estratto dell’ordinanza n°2520/2014 del 5/2/2014.

“Il ricorso – a giudizio del relatore – deve essere accolto in quanto la sentenza impugnata si limita ad affermare apoditticamente “la presenza di una forte componente organizzativa”, senza tener conto delle specifiche deduzioni di parte contribuente, che aveva ad esempio posto in luce come non si avvalesse di personale dipendente e nel suo studio operassero solo dei praticanti. Il Collegio ha condiviso la proposta del relatore”.

Estratto dell’ordinanza n°7153/2014 del 26/3/2014.

“la Agenzia non contesta adeguatamente la valutazione in fatto del giudice di secondo grado, limitandosi a sottolineare la quantità di spese affrontate dal professionista; fattore di per sè non decisivo se considerato nel suo importo globale, in quanto – ad esempio – le spese per trasferte o per i compensi ai domiciliatari non sono significative ai fini della sussistenza di una autonoma organizzazione. Nè assume valore decisivo la presenza di una segretaria, così come ribadito anche di recente da questa Corte. Il Collegio ha condiviso la proposta del relatore in quanto le modeste spese per personale dipendente non sono sufficienti a determinare, come invece ritiene la sentenza impugnata, l’automatica soggezione del contribuente ad IRAP (sentenza 22020/2013 di questa Corte)”.

Cassazione sentenza n°22020/2013.

“l’automatica sottopozione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate vanificherebbe l’affermazione di principio desunta dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una (probabilmente incostituzionale) “tassa sui redditi di lavoro autonomo”. Vi sono, a giudizio del Collegio, ipotesi in cui la disponibilità di un dipendente (magari part time o con funzioni meramente esecutive) non accresce la capacità produttiva del professionista, non costituisce un fattore “impersonale ed aggiuntivo” alla produttività del contribuente, ma costituisce semplicemente una comodità per lui (e per i suoi clienti)”.

In sostanza, dalle pronunce di cui abbiamo dato conto, si evince che ci si può sottrarre dal versamento Irap o chiedere il rimborso tutte le volte che non sia configurabile un’organizzazione che possa funzionare indipendentemente dall’intervento del professionista.  Elemento importante, che verrà preso in considerazione in sede giudiziaria, è senza dubbio la dichiarazioni dei redditi dell’interessato, in particolare le voci riportate nel quadro “Re”, quali ad esempio le quote di ammortamento dei beni strumentali, le spese relative agli immobili, le spese per prestazione di lavoro dipendente, per collaborazioni e compensi erogati a terzi e le spese relative agli interessi passivi.

SEGUICI ANCORA

prossimamente nella sezione “APPROFONDIMENTI” pubblicheremo un articolo in materia di

ISTANZA DI RIMBORSO IRAP.

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ACCERTAMENTO CATASTALE: ECCO COSA FARE

Ti è stato notificato un avviso di accertamento catastale?

 Lo studio legale e tributario Sgrò, in collaborazione con alcuni studi tecnici, stante i numerosi avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate ai proprietari di immobili di Roma, ha già proposto alcuni ricorsi in Commissione Tributaria Provinciale, ritenendo illegittima la procedura seguita dall’Agenzia delle Entrate – ufficio Provinciale del Territorio- volta a determinare la nuova classe e rendita catastale.

 

Ricordiamo che il nuovo classamento e rendita, se non opposti entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso di accertamento, rilevano:

 

– ai fini dell’imposta delle SUCCESSIONI e DONAZIONI;

– ai fini IRPEF;

– ai fini IMU;

– ai fini TARSU

 

Chiedi un parere inviando una mail all’indirizzo info@studiolegalesgro.net, allegando  l’avviso di accertamento notificato, ovvero chiama per un appuntamento al numero 06.68891896.

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IL “SI” DELLA CTP DI ROMA ALLA NOTIFICA DIRETTA DA PARTE DI EQUITALIA

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La Commissione Tributaria Provinciale di Roma dice SI

 alla cartella di pagamento notificata direttamente a mezzo posta da Equitalia

Con sentenza n° 399/58/2013 la Commissione Tributaria Provinciale di Roma riconosce all’Equitalia la possibilità di notificare direttamente per mezzo del servizio postale una cartella di pagamento.

In particolare la Commissione sostiene che “ in tema di notifica delle cartelle, è possibile, ai sensi dell’art. 26 del DPR n.602/1973,  notificare anche direttamente da parte dell’Agente della riscossione mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina degli artt 32 e 39 del D.M. 9.04.2001 è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senza alcun altro adempimento da parte dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire alla mittente”.

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TARIFFA RIFIUTI STABILIMENTI BALNEARI

Commissione Tributaria di Caltanissetta sentenza n°358/3/2013

E’ irragionevole e, dunque, illegittima la pretesa del Comune di tassare per l’intero anno solare anche l’area scoperta destinata ad arenile di uno stabilimento balneare. Ciò perché dal giorno 1 ottobre al 31 aprile dell’anno successivo (153 giorni) tale area non è in grado di produrre rifiuti. Pertanto, ai sensi dell’art. 77 del D.lgs. 507/1993, qualora gli utenti occupano o detengono temporaneamente (uso inferiore a 183 giorni durante l’anno), con o senza autorizzazione, locali o aree pubbliche, di uso pubblico aree gravate da servitù di passaggio, il Comune deve istituire una tariffa a base giornaliera e assoggettare l’area destinata ad arenile a detta tariffa per il solo periodo (1 maggio- 30 settembre) in cui è potenzialmente in grado di produrre rifiuti. Questo, in estrema sintesi, è il principio adottato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta con sentenza n° 358/3/2013 del 27/6/2013, accogliendo parzialmente il ricorso avverso un avviso di accertamento notificato al gestore di uno stabilimento balneare.

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ESENZIONE ICI CASE PER FERIE

 

 

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Riferimenti:

Art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504 del 1992;

Commissione Tributaria Regionale di Roma, sentenza n°1267/4/2014;

Commissione Tributaria Regionale di Roma, sentenza n°287/22/2010.

 

Ha diritto all’esenzione ICI di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504 del 1992, l’ente ecclesiastico che adibisce un proprio immobile in parte a sede della comunità religiosa e in parte a casa per ferie con ospitalità rivolta a studenti fuori sede. Questa è la conclusione a cui è giunta recentemente la Commissione Tributaria Regionale del Lazio con la sentenza n° 1267/4/2014.

In particolare, la Commissione Tributaria d’appello, confermando la pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità di alcuni avvisi di accertamento ICI notificati a un ente ecclesiastico poiché quest’ultimo aveva dimostrato in sede giudiziaria che la casa per ferie, gestita dall’ente nell’immobile oggetto di accertamento, non era rivolta a un pubblico indeterminato ma solo ed esclusivamente per l’accoglienza di studenti universitari lontani dalle proprie residenze e per la sola durata dell’attività didattica, con conseguente esclusione del periodo estivo. In tal caso, sempre secondo i giudici tributari, può legittimamente ritenersi che l’opera d’accoglienza, gestita al di fuori dei normali canali commerciali, risponda precipuamente a finalità sociali e religiose.

Oltre la tipologia di utenti, l’adita Commissione prendeva in considerazione la retta giornaliera applicata agli studenti da parte dell’ente. Quest’ultima, difatti, dalle risultanze processuali risultava notevolmente inferiore ai comuni prezzi del mercato alberghiero, per cui si poteva dedurne l’assenza di un interesse speculativo. La mancanza di un lucro soggettivo emergeva, inoltre, dalla dichiarazione dei redditi prodotta in giudizio dall’ente ecclesiastico che permetteva ai giudici di giungere alla seguente conclusione: “Se è vero che i ricavi conseguiti nelle quattro annualità sono di una certa entità, come rilevato dal Comune di Roma, va peraltro considerato che i redditi effettivamente conseguiti (vedi i quadri RG prodotti dall’appellata) sono veramente modesti”.

Sul punto, occorre precisare, che i comuni spesso nel contestare l’assenza dello scopo di lucro, eccepiscono l’entità del volume d’affari prodotto dall’ente ecclesiastico negli anni oggetto di accertamento, che in molteplici casi risulta positivo, tanto da far ritenere che l’attività sia esercitata al fine di trarne dei profitti.

In verità, sebbene l’eccezione della P.A. appaia suggestiva, da un più attento esame della documentazione fiscale prodotta in giudizio potrebbe emergere una realtà totalmente differente: spesso accanto a un volume d’affari positivo si rinviene una notevole perdita economica che deve senz’altro essere esaminata dalla Commissione Tributaria. Al riguardo, anche se in materia tanto altro si potrebbe aggiungere, interessante è la sentenza n°287/22/2010, sempre  della Commissione Tributaria Regionale di Roma che riconoscendo l’esenzione di cui all’art.7, comma lett. i) del D.Lgs n°504/1992, ha voluto precisare che “ il volume di affari cui fa riferimento la difesa del Comune di Roma, riguarda l’intera attività esercitata dalla Co. Per quanto concerne il volume di affari della “Casa per ferie al (…)”, lo stesso si riduce ad Euro 262.647,28 e nell’anno in contestazione, l’esercizio chiuso al 31.12.2001 ha evidenziato un risultato negativo pari ad Euro 70.014,42 (v. doc. 3 produzioni)”.   

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NULLITA’ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO CATASTALE

È nullo l’avviso di accertamento catastale per la revisione parziale del classamento di cui all’art.1, comma 335, della Legge n°311/2004, per difetto di motivazione qualora l’Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale del Territorio,  non ha reso possibile al contribuente conoscere i presupposti del nuovo classamento e della nuova rendita. In altri termini l’Ufficio ha l’obbligo di esporre i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato il riclassamento e tale obbligo non può risolversi nella mera elencazione di norme che si ritengono astrattamente applicabili, ma deve far conoscere al contribuente le modalità di rilevazione dei valori medi, la metodologia utilizzata e la bontà dei sistemi di rilevazione. Quando il contribuente si trova nell’impossibilità di verificare realmente le anomalie poste alla base della revisione del classamento e in quale misura dette anomalie incidono sulla classe del proprio immobile, l’atto di accertamento deve essere dichiarato nullo per difetto assoluto di motivazione.

SUL PUNTO SI SEGNALANO:

Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, sentenza n°459/4/2013;

Corte di Cassazione sentenza n° 9629/2012.

 

Lo studio legale e tributario Sgrò, in collaborazione con alcuni studi tecnici, stante i numerosi avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate ai proprietari di immobili di Roma, ha già proposto alcuni ricorsi in Commissione Tributaria Provinciale, ritenendo l’illegittimità di detti avvisi per molteplici motivi, ulteriori rispetto alle suindicate pronunce dei giudici di legittimità e di merito, tenuto anche conto della specificità di ogni singola situazione e unità immobiliare. 

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