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LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI PUO’ ESSERE MODIFICATA IN GIUDIZIO?

Riconosciutà la possibilità di emendare anche in sede contenziosa la propria dichiarazione dei redditi…

AGEVOLAZIONE “PRIMA CASA”: RILEVA LA RESIDENZA DELLA FAMIGLIA

Importante sentenza della Cassazione sulle agevolazioni prima casa.

ILLEGITTIMITÀ DELLE SANZIONI IRROGATE PER VIOLAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE.

La presunzione di non colpevolezza deve essere sempre applicata anche alle sanzioni amministrative.

CONTRATTO DI LOCAZIONE DICHIARATO NULLO E/O INESISTENTE IN SEDE CIVILE

Riflessi fiscali del contratto di locazione dichiarato nullo e/o inesistente in sede civile.

STIMA EFFETTUATA DALL’AGENZIA DEL TERRITORIO.

 

 

Riferimenti:

– Corte di Cassazione ordinanza n° 21257/2017

 

L’Agenzia delle Entrate non dovrebbe mai dimenticare un fondamentale principio di diritto processuale: dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente!

In materia di accertamenti immobiliari, ai sensi degli artt. 51 e 52 del  D.P.R. n. 131 del 1986, l’Ufficio è tenuto non solo ad indicare il valore dei beni, ma anche il criterio in base al quale esso è stato determinato, e quindi a motivare adeguatamente l’avviso di accertamento, in modo da porre il contribuente nella condizione di poter contestare l‘an ed il quantum della pretesa tributaria. Inoltre, un’eventuale stima effettuata dall’Agenzia del Territorio, depositata in sede giudiziale, che indica un valore superiore dell’immobile a quello indicato dalle parti nel contratto di compravendita, provenendo da soggetto che non è al di sopra delle parti, non costituisce elemento di prova sufficiente.

Corollario di detto principio è che in sede contenziosa la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale costituisce una semplice perizia di parte, pari a quella depositata dal contribuente. Nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Corte di Cassazione ordinanza n° 21257/2017).

In sostanza, in sede di accertamenti immobiliari, lo scostamento tra il valore dichiarato dalle parti nell’atto di compravendita e quello O.M.I., rappresenta una presunzione semplice, che il contribuente può agevolmente superare dimostrando in sede contenziosa la sussistenza di taluni elementi concreti dell’immobile: quali le caratteristiche del manufatto edilizio, realizzato a più riprese con materiali di vario tipo, e senza una logica progettuale, la vetustà, le condizioni di manutenzione, l’ubicazione in una traversa di una strada di scorrimento, in zona suburbana, ecc..

ILLEGITTIMA LA NOTIFICA FATTA AL SOCIO ACCOMANDANTE

La notifica degli avvisi di accertamento non può avvenire in capo al socio accomandante ma solo ed esclusivamente alla società ovvero al socio accomandatario.

PRESCRIZIONE DEI TRIBUTI ERARIALI

 

 

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Riferimenti:

art. 2953 c.c.;

art. 2946 c.c.;

art. 2948 c.c.

Comm. Trib. Prov. di Reggio Calabria, sentenza n° 2634/2014;

Comm. Trib. Prov. di Messina, sentenza n°512/13/2013;

Corte di Cass. sent. n°285/1968.

Una delle questioni che spesso ci troviamo ad affrontare è quella relativa alla prescrizione dei tributi erariali. In particolare, ci si chiede se il termine di prescrizione del tributo da considerare, a seguito della notifica di una cartella di pagamento che non sia stata oggetto di opposizione, sia quello quinquennale ovvero quello ordinario di dieci anni.

Difatti, capita spesso che il contribuente riceva da parte di Equitalia un avviso di pagamento con riferimento a una precedente cartella di pagamento che, per varie ragioni, non è stata opposta in sede giudiziaria e debba, dunque, valutare l’opportunità o meno di eccepire l’intervenuta prescrizione.

Ebbene, la mia opinione è quella di considerare anche per i tributi erariali la prescrizione quinquennale, con decorrenza dalla notifica della cartella esattoriale, sebbene in materia non vi sia uniformità di giudizi sia perché alcuni giudici tributari sostengono l’assoggettabilità anche della cartella di pagamento, come una qualsiasi sentenza di condanna passata in giudicato, al termine ordinario decennale di cui all’art. 2953 c.c. sia perché i tributi erariali, sempre a parere di alcuni giudici di merito, soggiacciono al termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., non essendo prevista per quest’ultimi una norma ad hoc che disciplini la prescrizione più breve.

Inutile dire che lo scrivente non condivide tale ultima lettura data da alcune commissioni di merito sugli artt. 2953 e 2946 c.c..

Procediamo con ordine.

Sull’art. 2953 c.c..

Secondo molte Commissioni Tributarie la prescrizione dei crediti, di qualsivoglia natura, a seguito della notifica di una cartella di pagamento non impugnata nei termini di legge è soggetta, non diversamente da una sentenza di condanna passata in giudicato, alla prescrizione decennale che decorre dalla data di notifica.

Detta ricostruzione non appare per nulla convincente poiché la cartella esattoriale non può in alcun modo essere accostata a un titolo giudiziale avendo la prima, piuttosto, natura di atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto e dunque del tutto priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Pertanto, il termine prescrizionale deve essere quello del credito a cui si riferisce la cartella.

Detto principio, è bene ricordarlo, era stato già enunciato a fine anni 60 dalla Corte di Cassazione che appunto con la sentenza n°285/1968 era intervenuta in materia sostenendo, a ragione, che la norma dell’art. 2953 c.c. non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti e cioè solo ed esclusivamente qualora il credito sia divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato. Ora, nonostante detta pronuncia può considerarsi un po’ datata, si deve tenere presente che detto principio non è mai stato superato da altre pronunce di legittimità.

Interessante in materia è la recentissima pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria che con la sentenza n° 2634/2014, ha stabilito che “la decorrenza del termine per l’opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale ma solo l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. ai fini della prescrizione decennale (analogamente Cass. 12263/07). E’, quindi, solo con la sentenza di condanna passata in giudicato che il diritto alla riscossione di un’imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, non è più assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione i quali, com’è noto, scandiscono i tempi dell’azione amministrativo-tributaria, ma al termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 cod. civ.; in questo caso il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma la sentenza (Sez. 5, Sentenza n. 5837 del 11/03/2011, Rv. 617262). Non vi sono ragioni per discostarsi da tale condivisibile giurisprudenza e, quindi, si deve escludere che la cartella di pagamento non opposta sia suscettibile di acquistare efficacia di giudicato, con conseguente applicazione della prescrizione decennale ex art. 2953 c.c..”

Dunque, possiamo affermare che solo con una sentenza di condanna passata in giudicato il diritto alla riscossione dell’imposta è soggetto al termine prescrizionale decennale di cui all’art. 2953 c.c., negli altri casi e, in particolare nell’ipotesi di notifica di una cartella di pagamento, detta norma non può trovare applicazione.

Sull’art. 2946 c.c..

Superato questo primo ostacolo, non dobbiamo trascurare un altro aspetto legato alla vicenda della prescrizione del tributo erariale che potrebbe crearci non pochi problemi in giudizio. La questione riguarda il corretto inquadramento del termine prescrizionale delle imposte erariali (IRPEF, IVA, IRES ecc..). In sostanza, la domanda è se per dette imposte sia applicabile il termine breve prescrizionale di cinque anni oppure siano comunque suscettibili al termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., non essendo prevista una norma che disponga sulla prescrizione di dette imposte. Difatti l’art. 2946 c.c., tanto caro a molti giudici tributari, recita “ Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.

Se, come dicevo, le Commissioni Tributarie sono solite appiattirsi sul dettato normativo di cui all’art. 2946 c.c., una più attenta disamina della questione potrebbe portare a risultati diametralmente opposti e, certamente, più favorevoli per il contribuente. Difatti, la risposta è contenuta all’art. 2948, n.4 c.c. che prevede la prescrizione quinquennale per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anni o in termini più brevi.

Sul punto la già menzionata pronuncia della Commissione Tributaria Prov. di Reggio Calabria arriva alla condivisibile conclusione che “Nelle due principali imposte erariali (imposte dirette ed IVA) il debito di imposta sorge, annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare appunto “annualmente”. Per le imposte dirette ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: lo stesso articolo 7 del D.P.R. n. 917 del 1986 (anche nella novella posta dal D.Lgs. n. 344 del 2003) recita che l’imposta è dovuta per anni solari e, quindi, ogni anno. Ne discende che, sia pure in presenza dei relativi presupposti, l’imposta diretta deve essere pagata “periodicamente” a seguito di una generale previsione legislativa che stabilisce regole valide e efficaci per ogni anno futuro. (C.T.P. Milano 20.11.2004 n. 207). Lo stesso dicasi per la dichiarazione annuale relativa all’I.V.A. (imposta della presente fattispecie) in cui il presupposto del tributo nasce anche trimestralmente ma la dichiarazione è unica: quindi perfettamente rientrante nella disposizione codicistica di cui all’art. 2948 n. 4 c.c..”

Dello stesso avviso è la Commissione Tributaria Provinciale di Messina che con la sentenza n°512/13/2013 ha annullato un ‘intimazione di pagamento relativa a IRPEF, IRAP e IVA notificata oltre il termine quinquennale applicando l’art. 2948 n°4 c.c., aggiungendo inoltre che “Appare, infatti, assolutamente incongruo e irragionevole ammettere un termine prescrizionale “ad accertamento intervenuto” notevolmente più lungo rispetto ai termini decadenziali più brevi previsti (addirittura inferiori ai cinque anni) per la complessa attività accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria. E ciò ove più si consideri che le disposizioni relative alla decadenza dall’azione amministrativa, se è vero che costituiscono un “limite” e, quindi, una certezza anche per il contribuente in ordine al periodo di accertamento, sono poste prevalentemente a favore di quest’ultima, in quanto dilatano (notevolmente) i tempi di controllo dell’operato del contribuente, che, ragionevolmente, dovrebbero coincidere con quelli della sua dichiarazione.”

Dal quadro normativo in esame e dalla recente giurisprudenza di merito si possono trarre alcune preziosissime conclusioni:

1) è sempre possibile far valere la prescrizione del tributo recato da una cartella di pagamento non oggetto di impugnazione, opponendosi al successivo avviso di pagamento notificato al contribuente;

2) la cartella di pagamento non può essere assimilata a una sentenza di condanna passata in giudicato e pertanto non può applicarsi al credito ivi contenuto la prescrizione decennale;

3) le imposte dirette e I.V.A. non scontano la prescrizione decennale poiché trattasi di imposte che devono essere assolte periodicamente e pertanto rientrano nell’ambito di cui all’art. 2948, n°4 c.c..

Attenzione:

In materia, come più volte detto, non vi è unicità di orientamento pertanto l’esito di un eventuale giudizio, allo stato attuale, risulta tutt’altro che scontato. A ogni buon conto è sempre importante eccepire in via subordinata la prescrizione delle sanzioni amministrative, poiché anche qualora il giudicante ritenesse di non accogliere le doglianze sulla prescrizione breve dovrà comunque rideterminare gli importi recati nell’avviso di pagamento in quanto le sanzioni amministrative si prescrivono sempre e comunque in cinque anni!

SUL PUNTO SI SEGNALANO ANCHE:

Corte di Appello di Lecce, sentenza n°668/2014;

Commissione Trib. Prov. di Ferrara, sentenza n° 256/5/2013;

Tribunale di Brindisi, Sez. Lav., sentenza n°509/2014.

Avv. Alessandro Sgrò

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CORTE DI CASSAZIONE: NULLO L’AVVISO DI ACCERTAMENTO SENZA PROVA DELLA DELEGA.

 

Riferimenti:

– art. 42 del D.P.R. n°600/1973;

– Corte di Cassazione, ordinanza n°12960/2017;

– Corte di Cassazione, sentenza n°22803/2015.

 

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n°12960/2017 è tornata ad affrontare il tema della sottoscrizione degli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate. Ebbene, come già argomentato in un mio precedente articolo, qualora la sottoscrizione dell’atto impositivo non è quella del capo ufficio  titolare ma del “capo team” incombe sull’Amministrazione dimostrare in giudizio, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. Difatti, solo il possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’Ufficio.

Cosa deve produrre in giudizio l’Agenzia delle Entrate?

Qualora l’avviso di accertamento è stato sottoscritto da un “capo team”, la Cassazione già con la pronuncia n°22803/2015 ha precisato che  la delega di firma o di funzioni di cui all’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 deve indicare il nominativo del soggetto delegato, pena la sua nullità, che determina, a sua volta, quella dell’atto impositivo, sicché non può consistere in un ordine di servizio in bianco, che si limiti ad indicare la sola qualifica del delegato senza consentire al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore.

Principio quest’ultimo, come dicevo, affermato dalla recentissima ordinanza n°12960/2017, che confermando la pronuncia della CTR del Lazio n°1039/2/2016, ha ritenuto illegittimo un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate poiché in giudizio non era stata fornita la prova che il soggetto sottoscrittore fosse stato delegato dal Direttore Provinciale. In sostanza, occorre una delega “nominativa , perché solo in tal modo si radica il rapporto di fiducia tra delegante e delegato, a nulla vale invece un ordine di servizio  senza l’indicazione specifica del soggetto delegato.

Avv. Alessandro Sgrò