STUDI DI SETTORE: NULLITA’ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO

studi settore

Riferimenti:
Corte di Cassazione, sentenza n°6971/2015.

Mi capita spesso di costatare nell’ambito della mia attività professionale la totale noncuranza da parte dell’Agenzia delle Entrate dei principi che regolano i rapporti tra contribuente e Fisco come, ad esempio, i principi di collaborazione e buona fede espressi agli artt. 10 e 12 della L. n°212/2000, oppure del principio di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost.

E’ frequente, poi, nel caso degli studi di settore, che il Fisco si “dimentichi” di esporre nell’avviso di accertamento notificato al contribuente le ragioni per le quali ha disatteso le argomentazioni e/o giustificazioni offerte da quest’ultimo nel corso del contraddittorio endoprocedimentale.

Ricordiamo che è fatto obbligo al Fisco, a pena di nullità dell’intero procedimento impositivo, prima di emettere un avviso di accertamento fondato sugli studi di settore, invitare il contribuente a spiegare le eventuali ragioni delle incongruenze dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli accertati dall’Agenzia. Inoltre, qualora il contribuente ottemperando all’invito notificatogli, trasmette le proprie deduzioni o idonea documentazione volta a spiegare la propria reale situazione, l’Ufficio è tenuto a indicare nell’avviso di accertamento le ragioni per le quali ha inteso rigettare le giustificazioni fornite dal contribuente.
Si tratta di un tipico caso in cui l’obbligo di motivazione (c.d. in replica) dell’atto sorge per effetto di un’attività del contribuente.

Interessante, sul punto, è la recentissima sentenza n°6971/2015 della Corte di Cassazione che ha affermato il principio secondo cui “in sede di contraddittorio preventivo il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, per altro verso, che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento dai parametri, altrimenti vanificandosi del tutto le finalità del contraddittorio, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con l’indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Per il che, l’Ufficio può motivare l’accertamento esclusivamente in base dell’applicazione degli “standards”, nella sola ipotesi in cui il contribuente non aderisca all’invito al contraddittorio, rimanendo del tutto inerte. In tal caso, infatti, l’Amministrazione – in assenza di elementi di segno contrario offerti dal soggetto sottoposto ad accertamento – non potrà che dare conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, mentre la mancata risposta da parte di quest’ultimo dovrà essere valutata dal giudice, nel quadro probatorio emergente dagli atti del giudizio” (Cass.S.U. 26635/09; Cass. 11633/13).

In sostanza, gli Ermellini riferiscono che la mancanza dell’elemento cardine motivazionale, e cioè l’argomentazione ad contrariis sugli elementi probatori offerti dal contribuente nel corso del contradditorio, si configura come un insanabile vizio di motivazione che, inficiando tutto l’atto accertativo, ne determina la nullità.
L’Ufficio non può trasformare un adempimento sostanziale, qual è il contraddittorio, in una formalità senza senso!

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